sehepunkte 19 (2019), Nr. 5

Demetra Sfendoni-Mentzou (ed.): Aristotle - Contemporary Perspectives on his Thought

La Grecia in generale e l'università di Salonicco in particolare sono giustamente orgogliose di avere avuto, tra i moltissimi geni che onorano la sua storia culturale, un gigante del pensiero come Aristotele e volentieri ne celebrano gli anniversari. Nel 1978 venne organizzato all'università di Salonicco un congresso mondiale su Aristotele per i 2300 anni dalla morte, con un'amplissima partecipazione di studiosi provenienti da molte nazioni, i cui atti purtroppo non hanno avuto un'ampia diffusione; nel 2016 la stessa università ha organizzato un grandissimo congresso in occasione dei 2400 anni dalla nascita, convegno cui hanno partecipato duecentocinquanta studiosi provenienti da quarantadue nazioni. I risultati di questo imponente lavoro celebrativo non sono ancora disponibili per il pubblico, e quindi ha fatto molto bene D. Sfendoni-Mentzou, organizzatrice del convegno, a pubblicare rapidamente in un volume separato le venti relazioni plenarie lette al convegno dagli "Invited Speakers".

Il tema del volume riguarda le prospettive contemporanee sul pensiero di Aristotele, e tocca tutti gli aspetti della sua filosofia. E' diviso in varie sezioni, come "Philosophy of nature", "Meteorology", "Philosophy of human action", "First philosophy", "Theory of thinking" e "Aristotle in the history of philosophy". Tutte le sezioni si dividono poi in subsezioni relative alle singole discipline aristoteliche come fisica, biologia, psicologia, etica, politica e via dicendo. Invece la sezione finale raccoglie un solo contributo, dedicato a un tema particolare, la concezione dell'ousia nella tradizione neoplatonica cristiana medievale fino a Nicola Cusano, di D. Moran (325-51).

L'idea delle prospettive contemporanee sul pensiero di Aristotele può essere intesa in due modi, o come Aristotele può influire sui dibattiti contemporanei o come certe correnti e proposte teoriche del pensiero contemporaneo possono aiutarci nel comprendere meglio le posizioni di Aristotele. Nel volume abbiamo esempi di entrambe le interpretazioni del titolo. Inoltre abbiamo anche delle discussioni di punti particolari della filosofia aristotelica ed altri saggi, in cui gli autori si limitano a riassumere qualche punto del pensiero di Aristotele o trovano l'occasione di ripercorrere la loro biografia intellettuale e le loro proposte interpretative, già ampiamente note perché pubblicate altrove.

Non è qui il caso di discutere tutti i contenuti del volume. Mi limiterò a trattare di alcuni saggi appartenenti alle prime tre categorie, tralasciando quelli che rientrano nella quarta.

Cominciamo dai saggi dedicati al pensiero di Aristotele in sé. Tra questi vi sono alcuni interventi molto interessanti, relativi all'antropologia e al rapporto tra l'uomo e il mondo esterno. T. Calvo, On the notions of psuchê and zôê in the Aristotelian biology (95-108) indaga la definizione e la natura dell'anima, che viene molto correttamente descritta non come una sostanza, ma come il set delle attività vitali di un essere vivente. In questo senso l'anima è la forma del vivente, cioè la vita stessa, e non un qualcosa che abita nel suo corpo. Ma per altri versi Aristotele mostra una visione più tradizionale dell'anima, come un agente che usa il corpo per i suoi fini e come ciò che tiene insieme in un complesso unitario le varie attività dell'essere vivente, quindi come il suo io.

R. Bolton, Two conceptions of pracitcal skill (technê) in Aristotle (279-96) distingue due tipi di technai in Aristotele, uno che coinvolge una componente teorica ed un altro che non lo fa. Del primo sono esempi la medicina, della seconda la dialettica e la retorica, perché non riguardano un genere definito dell'essere. Esse rientrano nell'empeiria, che secondo Bolton sarebbe una forma di ragionamento abbastanza evoluta, capace fino ad un certo punto di dare ragione del suo procedere. Il saggio di Bolton, pur discutibile, è importante anche perché negli studi aristotelici sono molto rari gli studi su questa forma di razionalità in Aristotele [1] ed è benvenuta una rinascita di interesse su questo importante tema.

Una visione diversa della razionalità della retorica dà C. Rapp, Aristotle and the dialectical turn of Rhetoric (223-36), che al contrario intende la retorica di Aristotele come una techne, il cui aspetto più tecnico è l'entimema cioè il sillogismo retorico. A differenza da Cicerone, la retorica di Aristotele è moralmente neutrale e non è impegnata al miglioramento dei costumi.

Dal punto di vista della politica, un tema scottante per gli studi aristotelici è la posizione politica del filosofo, che mette la democrazia tra i regimi distorti. Insieme con la teoria dell'inferiorità della donna sull'uomo e della naturalità della schiavitù, questa è una delle parti che gli studiosi di Aristotele considerano con maggiore imbarazzo. P. Pellegrin, nella conferenza inaugurale del convegno intitolata Aristotle and democracy (197-210), ha cercato di limitare l'ampiezza della condanna aristotelica della democrazia, negando il conservatorismo di Aristotele e giungendo ad affermare che l'ideale politico del filosofo, la politia, è fondamentalmente democratico. Non è chiaro in che senso si parli qui di 'democratico' in senso antico o in senso moderno. La differenza è invece messa molto opportunamente in luce da G. Contogiorgis, Aristotle and the democracy of city-state (211-22), che mette al centro della sua relazione la differenza tra la democrazia della polis e quella moderna, trovando in Aristotele i motivi di una critica, sia ai regimi democratici del suo tempo, sia all'organizzazione dello stato contemporaneo, che, al meglio delle sue possibilità, risulta essere una monarchia elettiva e non una vera democrazia.

Vi sarebbero anche altri contributi interessanti in questa sezione ma è tempo di passare alla sezione successiva, quella degli studiosi che usano proposte teoriche contemporanee per comprendere meglio alcune tesi di Aristotele. Tra questi è moto interessante il saggio di T. Scaltsas, Extended and embodied values and ideas (167-77), che mette a frutto alcune intuizioni di A. Clark e D. Chalmers sul concetto di "extended mind" per risolvere una possibile oscurità della distinzione aristotelica tra i beni dell'anima e i beni esterni all'uomo. Infatti le azioni sembrano ricadere in una zona grigia tra beni interni e beni esterni a noi, dato che le attività virtuose non sempre si limitano al controllo dei nostri sentimenti, ma richiedono un comportamento nel mondo. Gli Stoici risolvettero questo problema limitando ciò che dipende da noi ai soli moti della nostra anima, mentre di tutto il resto noi non siamo responsabili. Nella lettura di Scaltsas invece anche le stesse azioni fanno parte della bontà del carattere e i beni esterni come strumenti dell'azione ricadono sotto la nostra responsabilità, in base appunto ad un concetto di extended mind.

Una interessante analisi del ruolo del nous e della noesis è nel saggio di McKirahan, "As in a battle when a rout has occurred" (297-322), il quale fa riferimento alla distinzione tra due modi di pensiero, rapido e lento, proposta da D. Kahneman per interpretare la differenza tra l'epagogé, che è un vedere il particolare alla luce dell'universale e procede speditamente, fino a cogliere i principi in quanto principi, mentre spetta al pensiero lento, che ha per campo di azione il formulare le dimostrazioni scientifiche e lo stabilire i fatti essenziali.

Giungiamo quindi alla prima delle tre specie più interessanti di saggi, quella di coloro che partono da Aristotele per mettere in questione alcune delle assunzioni fondamentali della fisica o della biologia moderna nelle loro correnti più affermate. Qui una messa in guardia si impone. Se è vero che il pensiero di Aristotele si oppone alla tesi fondamentali della filosofia di Hume o della fisica di Newton, non tutto ciò che si oppone a Hume o Newton è di per sé nella linea del pensiero di Aristotele. E' certo vero che in un dibattitto contemporaneo non si può assumere tutto Aristotele in blocco, in modo dogmatico, ma è pur necessario che una posizione teorica, per essere sensatamente denominata 'aristotelica' debba mantenere una certa percentuale di aristotelismo in se stessa, con alcune dottrine basilari dell'aristotelismo, in mancanza delle quali si passa ad altra cosa. Per chi scrive, il minimo comune denominatore di ogni forma possibile di aristotelismo è il riconoscimento del fatto che gli enti sensibili non sono dei puri ammassi di qualità casualmente connesse ma hanno un'essenza, che non è separata da essi stessi. Quest'essenza non è dipendente dal contesto, come voleva Quine, ed è esprimibile in una definizione, la quale spiega le caratteristiche dell'ente ed è principio di conoscenza scientifica della cosa stessa. Essa inoltre determina il comportamento naturale dell'ente, comportamento che è l'esplicazione della sua essenza in una attività.

Del tutto coerente con queste premesse è il saggio di J. Lennox, "For a human being reproduces a human being": a mundane, profound Aristotelian truth (57-74). In base ad un'analisi approfondita dell'espressione aristotelica "L'uomo genera l'uomo", Lennox mette giustamente in luce che la regolarità della generazione degli esseri viventi non dipende da una legge di natura, ma dalla attività dell'essenza dei singoli enti, nei quali la natura individuale procede verso i suoi fini intrinseci se non viene impedita a farlo. In questo senso, afferma Lennox, la risorgenza dell'aristotelismo è la risorgenza di una forma di essenzialismo.

Più dubbie sono le credenziali aristoteliche della teoria dei "causal powers" oggi molto diffusa. Si tratta certamente di una visione della fisica fortemente realistica e non humiana, ma tutto sta nel modo in cui si intendono questi 'powers', termine che dovrebbe tradurre la nozione di dunamis in Aristotele. Infatti, nella versione descritta da G. Heinemann, Aristotelian supervenience: potentialities and powers in Aristotle's definitio of change (3-26), essi fanno pensare più ad una posizione neo-stoica che neo-aristotelica. Anche qui il punto centrale è comprende se i "powers" di cui si parla sono l'attività di una natura essenziale dell'ente o non lo sono. [2]

La curatrice del volume, D. Sfendoni-Mentzou, in articolo appassionato intitolato Aristotle's dynamic vision of nature: a Neo-Aristotelian perspective on contemporary science (27-56), popone una fisica non newtoniana e neo-aristotelica. Nella sua lettura Aristotele proporrebbe, contro Parmenide e i suoi seguaci un modello dinamico della natura con una struttura fondamentalmente temporale. La proposta è certamente accettabile, ma con delle specificazioni. E' certamente vero che nella fisica di Aristotele il movimento è la caratteristica propria degli enti materiali. Ma anche qui la definizione del movimento che abbiamo nel libro III della Fisica, come entelecheia atelês, spiega che la dinamicità della natura non è un principio primitivo, ma va spiegato come il procedere dell'ente verso la sua forma compiuta, in cui si acquieta. L'attività incompleta che caratterizza il movimento è una espressione del fatto che il movimento è, sì, l'esplicazione piena della natura dell'ente singolo, ma è un'attualità provvisoria, destinata a finire nella forma. Come disse in modo perfetto S. Broadie molti anni fa, il divenire ha un carattere self-terminating. [3]

Lo spazio concesso a questa recensione non permette di discutere appieno altri contributi molto utili e interessanti, come il saggio di M. Dragona Monachou, The relevance of Aristotle's views of ethics and medicine to bioethics (179-196), su Aristotele e la bioetica contemporanea, o quello di D. Lefebvre, Aristotle's Generation of animals and the separation of sexes (75-94), sulla differenza sessuale nella biologia di Aristotele. Li si possono comunque raccomandare al lettore interessato in questi temi.

In conclusione, il volume presenta una panoramica molto ampia su vari aspetti del pensiero aristotelico e sulle loro possibili connessioni con numerose teorie contemporanee. A questa ricchezza di temi si accompagna una certa differenza di livello nei contributi. I contributi di ottimo livello rimangono numerosi, ma una maggiore selettività nella scelta dei testi da portare all'attenzione del lettore avrebbe forse giovato all'insieme.


Note:

[1] La sola monografia che conosciamo interamente dedicata al concetto della technê in Aristotele è quella di G. Vattimo, Il concetto di fare in Aristotele, Torino 1961.

[2] Infatti N. Cartwright, una delle principali esponenti di questa proposta teorica, avvisa il lettore che "Our powers are Aristotelian in that we suppose that what a power does when exercised is in the nature of that power." (N. Cartwright - J. Pemberton, Aristotelian powers: Without them, what would modern science do?, reperibile in: https://www.researchgate.net/publication/265062313_Aristotelian_powers_Without_them_what_would_modern_science_do).

[3] S. Waterlow, Nature, change and agency in Aristotle's Physica, Oxford 1982, p. 106.

Rezension über:

Demetra Sfendoni-Mentzou (ed.): Aristotle - Contemporary Perspectives on his Thought . On the 2400th Anniversary of Aristotle's Birth, Berlin: De Gruyter 2018, XIV + 366 S., ISBN 978-3-11-056417-4, EUR 129,95

Rezension von:
Carlo Natali
Paris
Empfohlene Zitierweise:
Carlo Natali: Rezension von: Demetra Sfendoni-Mentzou (ed.): Aristotle - Contemporary Perspectives on his Thought . On the 2400th Anniversary of Aristotle's Birth, Berlin: De Gruyter 2018, in: sehepunkte 19 (2019), Nr. 5 [15.05.2019], URL: https://www.sehepunkte.de/2019/05/32587.html


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