Negli ultimi decenni la storiografia sui capitoli delle cattedrali italiane si è andata arricchendo. Si aggiunge ora anche l'ampio e documentato volume che Paolo Rosso dedica ai canonici del capitolo di Torino in un arco cronologico che va dalle prime attestazioni, nell'XI secolo, fino al termine di quello che convenzionalmente è definito medioevo.
Il libro si articola in un'introduzione, due parti ("Società e cultura", "I libri dei canonici") e un'appendice. L'introduzione offre uno status quaestionis sulla storiografia e sulle fonti per la storia del collegio canonicale. La prima parte ("Società e cultura"), è divisa in cinque sezioni. La sezione I, intitolata "Il primo secolo di vita del capitolo", è a sua volta articolata in "Sviluppi istituzionali del collegio canonicale" (dove si parla di origine, funzioni, residenza, gerarchie, prebende e statuti, giungendo però fino al secolo XV e oltre) e "Scuola e cultura nella cattedrale (secoli XI-metà XII)" (dopo aver detto che qualunque ricostruzione può procedere solo per congetture e analogie, l'autore elenca i nomi dei canonici e si occupa del "capitolo come centro di pratiche scrittorie", analizzando essenzialmente le sottoscrizioni autografe, mentre mancano - come si ammette a p.91 - attestazioni esplicite della presenza di uno scolasticus). Il titolo della sezione II ("Scuole capitolari e studia generali: le disposizioni conciliari lateranensi") sembra introdurre a questioni di carattere generale, ma in realtà si affronta soprattutto la situazione torinese, dapprima guardando alle "Prime attestazioni di studi universitari nel capitolo cattedrale", poi alle "Scuole cittadine nel Duecento" e infine ai "Luoghi di formazione superiore prima dell'apertura dell'Università di Torino". Notizie sulle dimensioni del capitolo e sull'osservanza dell'obbligo della residenza si trovano nella sezione III ("Composizione sociale del capitolo cattedrale"). Una descrizione della gerarchia interna sta nella sezione IV ("Orientamenti culturali dei canonici della cattedrale"). Nella sezione V ("Il capitolo cattedrale e lo Studium generale") si parla anche di formazione del clero e di collegi universitari.
La distanza che talvolta esiste tra i titoli e i contenuti delle suddivisioni fin qui elencate lascia il lettore un po' perplesso; più coerente è invece la seconda parte, intitolata "I libri dei canonici". Rosso dapprima descrive dettagliatamente i libri che erano posseduti da istituzioni e da singoli ecclesiastici; quindi parla della biblioteca del capitolo, che nacque come fondo finalizzato alla liturgia e si sviluppò alla fine del XV secolo grazie soprattutto all'acquisizione di libri di carattere giuridico; vi sono poi notizie circa volumi posseduti, acquistati e talvolta anche prodotti da persone facenti parte del capitolo torinese (ci si sofferma ad esempio sulla raccolta che era di Matteo de Beys, canonico e membro della familia cardinalizia di Domenico della Rovere, o sulla biblioteca della famiglia Romagnano, cui appartenevano numerosi canonici). A questioni dedicate allo studio o alla circolazione libraria sono connessi anche i documenti quattrocenteschi editi nel volume (507-531).
L'appendice, intitolata "I canonici del capitolo cattedrale di Torino (seconda metà sec. XII - inizio sec. XVI)", consiste in un file pdf di 434 pagine collocato sul CD-Rom allegato.
Gran parte della storiografia italiana considera il capitolo cattedrale non come un oggetto storiografico meritevole di considerazione in sé, ma come un punto di partenza per altre ricerche, che possono essere di volta in volta le dinamiche politiche delle singole città, le fortune di famiglie e consorterie, le ricadute dell'attività dei canonici sul piano culturale e artistico o, più semplicemente, gli archivi capitolari come luogo di conservazione della documentazione. Si tratta di un'impostazione che ha profonde radici non solo storiografiche ma anche storiche, dato che l'importanza che tali organismi ebbero nella Penisola, almeno a partire dal tardo medioevo, è certamente minore rispetto a quella che ebbero analoghi collegi in altre aree dell'Occidente. Si può dire che il volume di Rosso, privilegiando un'ottica particolare rispetto a un'impostazione prettamente istituzionale, si collochi in questo scenario. L'autore dice, in premessa, di aver voluto studiare "gli habitus culturali e sociali dei componenti del capitolo torinese" (14): forse avrebbe potuto dichiarare più esplicitamente che il suo interesse principale era la storia della cultura in tutta la Torino tardomedievale. Pure l'appendice prosopografica non prende in esame solo i canonici, ma anche esponenti del clero torinese che "ebbero un ruolo sul piano didattico e culturale: [...] coristi, maestri di canto e di grammatica".
Si può aggiungere una riflessione circa un altro aspetto della questione. Chi si interessa ai canonici nel tardo medioevo nota che il volume, in più punti, esalta la loro importanza per lo sviluppo delle burocrazie. L'autore parla di una "vocazione dei canonici per gli studi giuridici" (245) che li avrebbe resi "una compagine [...] pienamente in grado di intervenire adeguatamente nella sempre più composita articolazione amministrativa dell'ampia diocesi torinese" (501). Rosso si colloca insomma sulla scia di quelle ricerche sui "canonici al servizio dello Stato" che avevano dato origine, nel 1992, al volume curato da Hélène Millet, all'interno del quale peraltro era già emerso qualche dubbio circa tale immagine, che finiva con il rappresentare i canonici quasi come degli "intellettuali organici". Ma erano i canonici a servire lo Stato (nel caso torinese: a operare per il vescovo e per l'Università), o erano coloro che si trovavano in connessione con i luoghi del potere e della cultura a ricevere prebende canonicali come ricompensa per il loro lavoro e la loro fedeltà? Si trattava di membri di una corporazione consapevoli che era quella appartenenza a determinare il loro status sociale, o di persone che affrontavano una carriera disponendo anche di una prebenda canonicale? Da questo punto di vista, quali sono le differenze tra l'XI-XII secolo e il XIV-XV? Non è sempre facile rispondere a queste domande, ma il fatto che almeno quattro vicari dei vescovi di Torino (Antonio Darmelli, Bartolomeo Merlone, Bartolomeo Ogerio, Giovanni Canalis) siano divenuti tali, nel XV secolo, prima di raggiungere la prebenda canonicale dovrebbe far riflettere. Nel Trecento e nel Quattrocento molti chierici consideravano certamente il canonicato torinese una componente secondaria di una carriera che si svolgeva su ben altri scenari: d'altronde anche Rosso riconosce che le prebende potevano essere utilizzate come borse di studio (316, 331). Quanto descritto nella Premessa - un "mondo dei canonici" come élite dotata di una superiore formazione culturale, resa possibile dalla frequenza scolastica e universitaria e dal possesso di libri e biblioteche (13) - avrebbe potuto essere oggetto di discussione, ed eventualmente risultato conclusivo, non petizione di principio.
La questione sembra però non interessare l'autore che è più che altro alla ricerca, all'interno delle biografie dei canonici (e anche di molti che canonici non furono), delle notizie utili a descrivere un ambiente culturale: la Torino che nel 1404 vide nascere uno studium universitario attorno al quale ruotavano docenti, studenti, libri e competenze. Se ci si pone da questo punto di vista, si può dire che il volume abbia un indubbio valore.
Paolo Rosso: Negli stalli del coro. I canonici del capitolo cattedrale di Torino (secoli XI - XV) (= Studi Fonti Documenti), Bologna: il Mulino 2014, 700 S., ISBN 978-88-15-25149-7, EUR 42,50
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