I numerosi frammenti del Pitagorico Aristosseno di Taranto (IV sec. a.C.) hanno attirato di recente molta attenzione accanto e al di là della sua sola opera conservata per intero, gli "Elementi di armonia" in tre libri. Ne sono un esempio concreto il volume collettivo curato da C.A. Huffman, Aristoxenus of Tarentum: Discussion (2011) e quello del medesimo studioso oggetto della mia rassegna.
Huffman, già noto per i suoi fondamentali studi su altre due figure centrali del Pitagorismo antico della Magna Grecia, Filolao di Crotone (1993) e Archita di Taranto (2005), presenta un importante e solido contributo sugli undici frammenti superstiti delle Pythagoreiai Apophaseis di Aristosseno, un titolo per il quale egli propone la traduzione inglese Pythagorean Precepts (5-7), che mi appare ne renda in maniera soddisfacente il senso.
Questa opera, perduta nella sua interezza e conosciuta solo attraverso la testimonianza talora parallela della Antologia dello Stobeo e della cosiddetta Vita Pitagorica di Giamblico, era consacrata a una discussione di come vivere una vita secondo i precetti del Pitagorismo: "How to Live a Pythagorean Life", riprendendo la parafrasi del titolo proposta da Huffman. Essa deve essere letta in rapporto con On the Pythagorean Way of Life del medesimo Aristosseno nel presupposto che: "The Pythagorean Precepts can be seen as a sort of catechism for a specific group of Pythagoreans, whereas On the Pythagorean Way of Life is a collection of stories relating to Pythagoreans of different places and times" (51). Soprattutto, essi "should not be regarded as some sort of Ur-text from which most later lists of precepts derive" in quanto Aristosseno non si era proposto di mettere insieme "all Pythagorean precepts" che conosceva, ma piuttosto di riunire "the precepts of a specific group of Pythagoreans [...] around Xenophilus with whom Aristoxenus associated as a young man when he came to Athens and before he joined Aristotle's school" (73). È appunto su queste premesse che Huffman fonda la sua lettura assai personale, ma convincente dei Pythagorean Precepts.
Non è possibile rendere conto in una recensione delle centinaia di pagine di Huffman talora viziate da ripetizioni e caratterizzate da una certa lungaggine nella presentazione e nella discussione degli argomenti. Huffman stesso nella premessa (ix-x) suggerisce alcune piste e suggestioni di lettura dell'intero volume o di una scelta di capitoli.
Il volume, che viene presentato nel sottotitolo come An Edition and Commentary of the Fragments with an Introduction, offre una quantità impressionante di materiale frutto di una ricerca pluridecennale accuratamente redatto e discusso con oggettività e in maniera coerente con i principi che ne hanno ispirato la preparazione. Le conclusioni alle quali Huffman giunge mi appaiono nell'insieme convincenti e ben difese nonché fondate su una lettura completa delle fonti antiche e della letteratura secondaria dominate entrambe con perizia e competenza. Su qualche dettaglio, talora non secondario, avrei preso altre decisioni e in certi casi, soprattutto dal punto di vista ecdotico avrei fatto scelte diverse o seguito metodi e criteri differenti pur non negando la validità di quelli applicati da Huffman.
Il volume si apre con una succinta premessa (ix-xi) e con le abbreviazioni bibliografiche (xii). Seguono le due sezioni portanti: l'introduzione (1-147) e la raccolta dei frammenti con traduzione e commento (149-557). Quattro Appendici (559-604) completano il libro, arricchito da una concordanza con l'edizione di Wehrli (605), da una bibliografia (606-615) e da indici (616-636).
Ognuna delle due sezioni centrali è suddivisa in paragrafi (per un totale di 22). Nella parte introduttiva, sono discussi i frammenti dell'opera di Aristosseno conservati dallo Stobeo, il suo titolo e la sua natura, la struttura; vengono poi presi in conto i frammenti che leggiamo in Giamblico e confrontati con quelli trasmessi dallo Stobeo; seguono capitoli sulle relazioni dello scritto con le altre opere di argomento pitagorico del medesimo Aristosseno e ne viene studiata l'influenza sulla tarda tradizione pitagorica. Un intero capitolo è riservato a una discussione sistematica della letteratura sui Pythagorean Precepts e in particolare delle due vecchie dissertazioni latine di Mewaldt (1904) e Täger (1922) che costituivano i due soli studi d'insieme sull'argomento prima del libro di Huffmann. I due capitoli conclusivi esaminano l'opinione corrente sui Pythagorean Precepts e il sistema etico in essi sviluppato.
La seconda parte, molto più lunga e consistente, si presenta come una edizione degli undici frammenti il cui testo greco è accompagnato da una traduzione inglese e da un dettagliatissimo commento. I frammenti e l'apparato (ridotto) che li accompagna sono recuperati nelle edizioni di riferimento di Wachsmuth e Hense (per lo Stobeo) e di Deubner (rivisto da Klein) per Giamblico. Nelle Appendici infine Huffman analizza quattro "subsidiary Precepts" trasmessi da Giamblico e un ulteriore testo conservato dallo Stobeo che potrebbero derivare dall'opera di Aristosseno e che con questa mostrano almeno significativi punti di contatto.
Alcuni frammenti sono tramandati in redazioni diverse da Stobeo e da Giamblico (vedine l'accurata analisi a 16-38). Di fronte a divergenze fra le due versioni, Huffmann ha dato la preferenza a quella trasmessa dallo Stobeo a partire dal sano presupposto che quest'ultimo, fedele al suo spirito di antologista, ne ha trascritto il testo in maniera più vicina all'originale senza alterazioni o rimaneggiamenti. Diversamente ha operato Giamblico il cui metodo è così ricostruito: "First, while Iamblichus' text preserves word-for-word fidelity to the text of Aristoxenus in some cases, it also both changes individual words and adds explanatory phrases so that the text is generally longer than that found in Stobaeus [...] Iamblichus frequently alters the order of sentences from the original. Second, despite these divergences from the text of Aristoxenus, [...] Iamblichus portays the general ideas expressed by the Precepts [...] with reasonable accuracy. So the text preserved in Iamblichus is like a mosaic [...] One can thus be confident in the general content and most important details of what Iamblichus preverves, even if it is not always possible to determine in the case of specific words or phrases what is Aristoxenus and what is Iamblichus" (37-38).
Alla luce di queste considerazioni, Huffmann propone (151-163) una ricostruzione del testo dei Pythagorean Precepts in inglese. Se avesse proceduto così anche per il testo in greco, fermo restando la necessità di distinguere altresì le singole fonti originarie, molti lettori, credo, gliene sarebbero stati sinceramente riconoscenti.
Con l'edizione commentata dei resti dei Precetti Pitagorici Huffman ha fatto un considerevole passo in avanti in vista di una auspicata raccolta completa dei frammenti di Aristosseno che rinnovi quella di F. Wehrli (Die Schule des Aristoteles, vol. 2, 21967) e quella di S.I. Kaiser (2010).
Carl A. Huffman: Aristoxenus of Tarentum: the Pythagorean Precepts (How to Live a Pythagoroan Life). An Edition of and Commentary on the Fragments with an Introduction, Cambridge: Cambridge University Press 2019, XII + 636 S., ISBN 978-1-108-42531-5, GBP 130,00
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