Una importante genealogia accademica - unita all'ambizione per il suo rinnovamento - sta dietro il corposo volume che raccoglie gli Atti della Settimana internazionale di studi medievali della Mendola (la settima della Nuova Serie) che si è tenuta presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia nel settembre 2019.
Le Settimane della Mendola costituiscono uno dei più prestigiosi appuntamenti periodici della medievistica italiana ed europea. Lo sono fin dalla loro nascita a opera di Cinzio Violante, coadiuvato da Cosimo Damiano Fonseca, nel 1959. Negli anni Duemila, sotto l'impulso di Giancarlo Andenna, le Settimane hanno conosciuto una nuova stagione che nel 2007 è stata formalizzata con la nascita della Nuova Serie, il cui 'rinnovamento nella continuità' è stato sottolineato dal mantenimento della dicitura 'Settimane della Mendola', sebbene i convegni non si tengano più presso l'omonimo passo trentino. A plasmare il nuovo corso è stata l'intensa collaborazione tra la medievistica dell'Università Cattolica di Milano e la Scuola di Dresda di Gert Melville, a sua volta influenzata dalla sociologia di Niklas Luhmann e di Karl-Siegbert Rehberg. Questo nuovo orientamento - indubbiamente metodologico, ma anche epistemologico - ha inteso arricchire l'indagine sulle istituzioni medievali con lo strumentario delle scienze sociali, fino a quel momento estraneo al panorama medievistico italiano. Da tempo è Nicolangelo D'Acunto ad aver preso le redini di questa operazione di contaminazione innovativa tra approcci intellettuali diversi. Per quest'ultimo far interagire la migliore medievistica italiana (gli eredi di Cinzio Violante, certamente, ma anche la Scuola torinese di Giovanni Tabacco e Giuseppe Sergi) con le aperture interdisciplinari di Dresda contribuisce a superare una concezione ontologistica delle istituzioni medievali e ad accantonare definitivamente quel riduzionismo interpretativo - assai frequentato nella storia religiosa - che tende a risolvere la complessità non lineare del dinamismo istituzionale in una mera contrapposizione dicotomica tra 'istituzione' e 'spirito', come se la prima fosse sempre e solo una struttura organizzativa volta a ortopedizzare e, da ultimo, a tradire il secondo.
Di questo lungo percorso scientifico il volume in oggetto - curato da Nicolangelo D'Acunto, Guido Cariboni ed Elisabetta Filippini - restituisce un esito plastico di indubbia rilevanza storiografica. Questo esito è annunciato fin dal titolo, dove il concetto di 'istituzionalità' è preferito a quello di 'istituzioni', come si è soliti fare a Dresda: non le strutture coerenti di organizzazione del potere, ma gli aggregati sociali in continua (e mai del tutto risolta) tensione verso la propria stabilizzazione stanno al centro del volume. Da qui la scelta del termine 'meccanismi', poiché ragionare sulla istituzionalità più che sulle istituzioni comporta una opzione preferenziale, benché non esclusiva, per i processi. Perfettamente in linea con tale impostazione è il tema portante del volume, racchiuso nel nesso 'presenza-assenza'. Questo nesso non ha nulla di binario, ma definisce piuttosto un'ambivalenza dinamica, che rivela come gli elementi di questa coppia concettuale si rispecchiassero reciprocamente l'uno nell'altro, con esiti altamente funzionali per il 'farsi' delle istituzioni medievali. Si scorge qui l'eco di numerosi lavori della medievistica tedesca degli ultimi trent'anni, a partire dal piccolo ma fortunato contributo dal titolo Der abwesende König che Andreas Kränzle pubblicò nel 1997. Infine - sempre a partire dal titolo - va segnalato il riferimento alla societas Christiana. L'espressione non è usata nell'accezione che le attribuiva Luigi Prosdocimi, ma è un omaggio alla tradizione della Mendola (compariva già nei titoli delle prime Settimane). Allo stesso tempo essa è la spia di un invito rivolto alla medievistica italiana ad aprirsi alle innovazioni della Scuola di Dresda, senza per questo rinunciare alle proprie caratteristiche, anzi valorizzando queste ultime - dalla centralità del dato filologico all'assoluto rigore nelle ricostruzioni dei contesti - quali garanzie di un interesse più per le cronologie storiche che per le tipologie sociologiche.
È dunque entro questa complessa e ambiziosa prospettiva scientifica che il volume trova le sue coordinate. Esso si compone di diciotto saggi di medievisti di chiara fama internazionale e di quattordici comunicazioni a opera di studiosi più giovani; complessivamente sono trentadue contribuiti a cui fanno da cornice l'introduzione e le conclusioni di Nicolangelo D'Acunto. Tutti i lavori condividono una tensione tra l'analisi rigorosa di un caso di studio e il suo inserimento in una intelaiatura concettuale, per quanto ognuno di essi declini in modo differente l'equilibrio tra questi due aspetti. A dare particolare compattezza al volume è soprattutto la griglia problematica di fondo. Quest'ultima è incentrata sulle modalità, sui dispositivi e sui meccanismi personali e transpersonali capaci di generare la presenza di chi esercitava il potere o comunque di attori che agivano all'interno di aggregati sociali soggetti a processi di stabilizzazione e quindi di istituzionalizzazione. La presenza poteva essere fisica o spirituale, visibile o apparente, reale o fittizia, con le molteplici presenze simboliche che si prestano a interpretazioni diverse in merito alla qualità della loro rappresentazione. L'ambito cronologico di analisi è compreso tra il secolo IX e il XIII.
Nella impossibilità di ripercorrere la trama dell'intero volume seguendo il filo che si dipana da ogni singolo contributo, può bastare la messa a fuoco dei principali nodi problematici. Dalle immagini sacre abitate dalla presenza del divino, indagate da Jean-Marie Sansterre, si passa alla presenza cristica che mai tramonta nella esperienza mistica pienamente inserita nella istituzionalità ecclesiale, oggetto dell'analisi di Pierantonio Piatti. A Marco Rainini spetta tratteggiare i peculiari accenti che assunse la teologia eucaristica nei secoli XI-XII, con le sue conseguenze ecclesiologico-istituzionali. Le espressioni multiformi della santità medievale sono considerate da Isabella Gagliardi, che sottolinea come l'assenza del santo dopo la sua morte, ben più della sua presenza in vita, attivasse dinamiche istituzionalizzanti, e da Umberto Longo, che rileva come, nella solitudine dell'angusta cella di un eremita come Pier Damiani, questi percepisse realmente presente la moltitudine dei credenti sparsa nel mondo che costituisce la Chiesa. Speculare e opposta alla presenza del santo, c'è quella diabolica, analizzata da Luigi Canetti in una prospettiva storico-antropologica. Passando al mondo monastico, Guido Cariboni si sofferma sulle fonti memoriali quali testimoni della capacità della liturgia di rendere presenti i morti ai vivi, generando una comunità di credenti non spezzata dall'incedere del tempo, mentre Steven Vanderputten mostra il paradosso di quegli abati del secolo XI spesso assenti dal proprio cenobio per promuovere altrove riforme che prescrivevano una presenza stabile dell'abate nel monastero. Con riferimento all'autorità papale Jochen Johrendt e Maria Pia Alberzoni ripercorrono le dinamiche istituzionali innescate dall'affermarsi del principio secondo cui, a partire dal secolo XI, chi vedeva il papa vedeva la Chiesa universale e, a partire dal XII, chi vedeva il legato apostolico vedeva il papa. Quanto all'autorità imperiale, Florian Hartmann riflette sulle lettere spedite dal sovrano, che ne incorporavano pienamente la presenza, mentre Christoph Dartmann dimostra come la presenza di un re lontano potesse essere cercata dai maggiorenti di un regno proprio perché ci si aspettava che questi, dopo il primo intervento, sarebbe stato a lungo assente. Con uno sguardo rivolto al Sud Italia, Francesco Panarelli e Mirko Vagnoni mettono in luce la refrattarietà, ancora nel Duecento, verso un particolare dispositivo di riproduzione della presenza regia: il ritratto. Nell'ambito dei poteri laici non monarchici, Enrico Faini segnala il ritardo con cui le città italiane si qualificarono con l'aggettivo sostantivato commune, la cui comparsa sembra concomitante con l'affermazione di esigenze retoriche di legittimazione di un progetto politico nuovo.
Meritevoli di particolare segnalazione sono poi due saggi che, più degli altri, si contraddistinguono per il loro spessore teoretico. Uno è il contributo di Carla Bino, che lumeggia l'ampio spettro semantico del verbo repraesentare nelle fonti medievali, isolando tre meccanismi che potevano generare una presenza-rappresentata: il rafforzamento, l'iterazione e la sostituzione. L'altro è il contributo di Gert Melville, che, riprendendo il suo fondamentale saggio Fu 'istituzionale' il Medioevo? di quasi vent'anni fa, lo porta a una conclusione né neutra né scontata - e, da ultimo, 'nominalista' - secondo cui la presenza simbolica generata dalle istituzioni sarebbe sempre una presenza fittizia, efficace ma mai reale.
Se molte virtù di questo volume sono già state messe a fuoco, in conclusione ne va sottolineata un'altra, non meno decisiva. Soprattutto per lo studio delle istituzioni il dialogo italo-tedesco ha costituito per decenni - almeno dagli anni Sessanta del Novecento - un asse portate della medievistica internazionale, per poi raffreddarsi alle soglie del cambio di millennio. Il volume Presenza-assenza contribuisce significativamente a rilanciare questo dialogo nella speranza che esso faccia da traino e modello per altre, analoghe, iniziative.
Guido Cariboni / Nicolangelo D'Acunto / Elisabetta Filippini (a cura di): Presenza-Assenza. Meccanismi dell'istituzionalità nella 'societas Christiana' (secoli IX-XIII) (= Le Settimane internazionali della Mendola. Nuova Serie; 7), Milano: Vita e Pensiero 2021, XVI + 542 S., ISBN 978-88-343-4624-2, EUR 38,00
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