Daniela Del Pesco: Bernini in Francia. Paul de Chantelou e il 'Journal de voyage du Cavalier Bernin en France', Napoli: Electa Napoli 2007, 575 S., ISBN 978-88-510-0374-6, EUR 38,00
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Con la pubblicazione integrale del Journal, cronaca in presa diretta del viaggio del 1665 di Bernini alla corte di Luigi XIV, Daniela del Pesco corona un percorso di ricerca incentrato da anni su quel momento cruciale della tarda carriera del Cavaliere in missione a Parigi per rendere grande e magnifico il palazzo del Louvre. Grazie al puntuale esercizio filologico dell'autrice, per la prima volta ci viene restituito in traduzione il testo scritto da Paul Fréart de Chantelou mettendo a confronto le due versioni del manoscritto conosciute, vale a dire quella della Biblioteca dell'Institut de France (ms. 2105) e quella dell'Institut Néerlandais di Parigi (Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, ms. 9170), individuata soltanto nel 1969. Il primo, e più noto, dei due manoscritti era stato pubblicato in Francia da Ludovic Lalanne (1877-1884), mentre una bella ma parziale traduzione di Stefano Bottari apparve in Italia nel 1946 con il titolo Bernini in Francia. Il nuovo testo, corredato da un ricco apparato di note codicologiche e storico-critiche, è arricchito di alcuni capitoli introduttivi che illustrano il clima culturale e la vivacità del dibattito artistico alla corte del Re Sole; non si tratta tuttavia di una ricostruzione basata soltanto sulle consuete fonti storiografiche, ma di una rilettura di quei fatti e di quei fenomeni attraverso gli occhi ed il pensiero dell'autore del testo. Del Pesco dichiara infatti di voler "puntare innanzitutto l'attenzione su Chantelou" e, sulla base di questa chiave interpretativa, evidenzia l'intrinseca dicotomia del Journal, nato per una fruizione privata - "pour [...] étude e pour notre divertissement" come scrisse Paul al fratello - e poi redatto nella forma attuale al fine di attestare la credibilità dell'uomo di corte che rivendica le "sue ambizioni di svolgere un ruolo nella nuova organizzazione istituzionale voluta da Colbert" (11). Questa sorta di evoluzione letteraria trova riscontro nelle differenze testuali evidenziate dall'autrice nei due manoscritti pervenuti. La versione dell'Institut de France, creduta da Lalanne una copia conforme all'originale, è viceversa, secondo del Pesco, una sorta di prima stesura in cui sono appuntate numerose correzioni e possibili varianti; a questa ne fece seguito una seconda, quella dell'Institut Néerlandais, in cui sono riportate le correzioni del manoscritto precedente, il tutto messo in pulito con grafia elegante ed accurata. Partendo dalla semplice struttura del diario, il Journal assume una forma letteraria autonoma, così diversa anche dalle consuete biografie, soprattutto in virtù delle frequenti inserzioni di riflessioni, aggiunte dall'autore in momenti successivi alla prima stesura attingendo in prevalenza dagli scritti teorici del fratello Roland Fréart. In virtù di tale rielaborazione, accanto alla figura del grande maestro e alla sua arte, dal testo affiorano la voce ed il pensiero di Chantelou e il suo intrinseco legame con la realtà francese di quegli anni. Del Pesco sottolinea, ad esempio, come dalle pagine del Journal emerga a chiare lettere l'inimicizia nei confronti di Charles le Brun, nominato nel 1663 segretario perpetuo dell'Académie Royale de Peinture a scapito di Charles Errard, grande amico dei fratelli Fréart. Chantelou non perde quindi occasione di criticare le Brun e di sottolineare la scarsa limpidezza della sua condotta. Talvolta anche con accuse pesanti come si legge alla data del 9 agosto quando, attraverso le parole del pittore Roland Lefebrve, punta il dito contro la "tirannia" instaurata dal Premier Peintre il quale "invece di formare persone abili grazie all'istituzione dell'Accademia, produce ignoranti e non c'è nessun'altra scuola che possa fare concorrenza all'Accademia Reale" (284). La presenza di uno sceneggiatore nascosto ma attento si percepisce con altrettanta evidenza dai commenti alle opere ammirate nelle collezioni parigine e dalle predilezioni artistiche che sanciscono il primato indiscusso di Poussin, pittore certamente apprezzato da Bernini ma amato ancor più da Chantelou che aveva iniziato a collezionare i suoi dipinti già dal 1639. Dalle biografie di Baldinucci e di Domenico Bernini siamo informati che le preferenze del cavaliere andavano in primis a Raffaello, quel "gran Mare, che raccoglieva in sé l'acque di tutti i fiumi" (131), e poi a Correggio, Tiziano e Annibale Carracci. Ma a Parigi Bernini poté ammirare molti capolavori del maestro francese e su tutti i Sette Sacramenti, commissionati dallo stesso Chantelou a Roma nel 1642, ad imitazione della serie già nella collezione di Cassiano Dal Pozzo. I suoi commenti, come sgorgati di getto sull'onda dell'emozione, vengono riportati in italiano tanto che pare quasi di sentire la voce del cavaliere, al termine dell'accurata ispezione, schernirsi di fronte al suo ospite per aver scoperto "la virtù d'un huomo [Poussin], che mi fa cognoscere, che non so niente" (255). Nella stessa occasione (25 luglio 1665), quasi a suggello di un trionfo tutto poussiniano, Chantelou fa ricordare a Bernini che la sua stima verso l'artista francese aveva radici profonde, risalendo ai tempi del Martirio di Sant'Erasmo per San Pietro (1628-1629), magnificato pubblicamente dal cavaliere al cospetto di Urbano VIII. Nel Journal, Poussin si spartisce lo scettro di principe della pittura con il sommo Annibale Carracci, campione di quel classicismo tanto apprezzato nei circoli accademici di Parigi. Il bolognese viene così elogiato per aver "riunito in sé l'armonia e il disegno di Raffaello, la scienza e l'anatomia di Michelangelo, la nobiltà e lo stile di Correggio, il colore di Tiziano" (239), e di fronte alle copie degli affreschi di palazzo Farnese, esposte nella galleria inferiore dell'hotel Vrillière, Bernini non riesce a trattenere la sua sorpresa: "Avrò visto quattrocento volte gli originali e, tuttavia, continuo a provare piacere nel guardarle" (436). Non sorprende quindi che nelle dotte conversazioni tra il cavaliere e i suoi ospiti non sia dato alcun accenno alle tele di Rubens al Luxembourg, visitato l'11 giugno, né alla Buona ventura di Caravaggio, inviata a Luigi XIV da Camillo Pamphilj e sbrigativamente definita "un povero quadro senza sapienza, né invenzione" (379). Questi commenti e questi silenzi, secondo del Pesco, sono l'indice del duplice ruolo svolto da Chantelou nella veste di fedele cronista dell'attività di Bernini e al contempo di "critico militante impegnato a sostenere le proprie idee ben ancorate in una tendenza della critica francese" (133).
Il volume in esame, oltre a colmare una lacuna soltanto parzialmente emendata dalla riedizione del testo di Bottari (Sellerio, Palermo 1988), si inserisce in un panorama critico particolarmente vivace che proprio negli ultimi anni ha visto un proliferare di scritti dedicati alle biografie berniniane. Tra i più interessanti si ricorda il testo a cura di Pablo Schneider e Philipp Zitzlsperger dal titolo Bernini in Paris: das Tagebuch des Paul Fréart de Chantelou über den Aufenthalt Gianlorenzo Berninis am Hof Ludwig XIV (Akademie-Verlag, Berlin 2006), omaggio ad Hans Rose, professore dell'Università di Monaco perseguitato dai nazisti, che nel 1919 realizzò una traduzione del Journal qui riproposta e corredata da una serie di saggi tematici. Sempre nel 2006 è apparso il volume Bernini's Biographies (a cura di Maarten Delbeke, Evonne Levy, Steven F. Ostrow, Pennsylvania State University Press, University Park, Pennsylvania) che raccoglie gli studi di dieci massimi esperti sul tema. In particolare il testo di Ostrow dal titolo Bernini's Voice: From Chantelou's Journal to the Vite affronta il problema della veridicità delle affermazioni dirette di Bernini giungendo a conclusioni analoghe e perfettamente integrabili a quelle di del Pesco.
La ricchezza dell'apparato critico, la puntualità dell'analisi filologica e la presenza di utili appendici dedicate alle biografie dei personaggi e delle opere di architettura citate, fanno di questa nuova edizione del Journal un testo di riferimento ineludibile per approfondire la conoscenza di quello sfortunato viaggio, "capolavoro" mancato nella trionfale carriera di Bernini.
Cristiano Giometti