Rezension über:

Paola Ceccarelli: Ancient Greek Letter Writing. A Cultural History (600 BC - 150 BC), Oxford: Oxford University Press 2013, XX + 435 S., ISBN 978-0-19-967559-3, GBP 95,00
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Rezension von:
Alice Bencivenni
Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Alice Bencivenni: Rezension von: Paola Ceccarelli: Ancient Greek Letter Writing. A Cultural History (600 BC - 150 BC), Oxford: Oxford University Press 2013, in: sehepunkte 14 (2014), Nr. 5 [15.05.2014], URL: https://www.sehepunkte.de
/2014/05/24454.html


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Paola Ceccarelli: Ancient Greek Letter Writing

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Cadmo, l'inventore dei segni grafici dell'alfabeto greco, cesellò il modello iscritto del silenzio che non tace, γραπτὸν ἀσιγήτοιο τύπον τορνώσατο σιγῆς (Nonn. Dionys. 4, 263). Paola Ceccarelli ha cesellato un volume di cui non si tace il carattere innovativo nell'àmbito degli studi sull'epistolografia antica.

L'introduzione definisce la lettera nella struttura e nella terminologia, insistendo sulla significativa corrispondenza, già antica, tra il termine indicante il segno grafico della scrittura e la lettera come messaggio scritto. L'etimologia giustifica la ricerca: il ruolo delle epistole nel mondo greco deve emergere dal confronto con le altre forme della comunicazione antica e con il più ampio sistema della scrittura greca (1).

Nella prima parte l'autrice prende l'avvio dalle testimonianze più antiche della scrittura greca e dalle prime epistole superstiti, mettendone a confronto le peculiarità enunciative con altre forme affini come le defixiones, per evidenziare le differenze regionali negli usi scrittorî e rintracciare le origini della scrittura epistolare che, ancora alla metà del IV secolo, mancando una codificazione stabile del genere, appare come trascrizione di messaggi orali (2). L'analisi delle rappresentazioni letterarie conferma come la scrittura delle origini sia considerata dai Greci uno strumento utile più per preservare la memoria che per comunicare. Benché la scrittura epistolare non abbia lasciato tracce nella letteratura arcaica, fatta eccezione per la funesta epistola dell'iliadico Bellerofonte, tre fonti del V secolo adombrano un dibattito sulla funzione della scrittura nella comunicazione a lunga distanza, sottolineandone gli aspetti negativi e incontrollabili - Palamede in Euripide - o la connotazione tirannica che evita il confronto diretto - Atossa in Ellanico, Deioce in Erodoto (3). La disamina delle epistole citate dagli storici antichi evidenzia come in Erodoto i contatti epistolari dal mondo orientale e tirannico si contrappongano alla pratica greca dell'invio di messaggeri. In Tucidide la comunicazione epistolare, ancora limitata, è sì legata ai contatti con la Persia ma anche interna al mondo greco, con documenti privati di individui che aspirano ad un potere personale ovvero resoconti di generali lontani dalla patria. Solo in Polibio le epistole diventano frequenti: strumento efficace di potere sono, anche per questo, spesso criptate e oggetto di falsificazioni (4).

Nella seconda parte, dall'apparizione delle epistole nelle fonti letterarie concernenti l'Atene classica e protoellenistica si approda alle epistole epigrafiche delle poleis ellenistiche. Sul palcoscenico solo a partire da Euripide e Aristofane, le lettere sono sempre problematiche e al servizio della trama, ma talvolta funzionali ad una riflessione sul ruolo civico dell'oratoria e della comunicazione scritta, come nell'enigma della Saffo di Antifane (5). Se nei tribunali la lettura delle lettere è limitata, in assemblea la citazione di epistole ufficiali è più frequente. Lo scrivere lettere è tuttavia usato nel confronto politico come accusa contro l'avversario, nel caso in cui un cittadino scriva o riceva privatamente epistole di interesse comune (6). Quando lo strumento epistolare diventa sovrano nelle modalità comunicative dei re ellenistici, le città, che talvolta pubblicano su pietra le lettere regie, usano sì le epistole per comunicazioni interne, ma tendono a preferire i decreti per le loro relazioni interstatali. L'eccezione di alcune poleis che si servono dell'epistola per i loro scambi interstatali - Sparta, le città di Creta - è da collegare alla tradizione non democratica delle città stesse (7).

Alle conclusioni fanno seguito tre appendici. La prima raccoglie l'edizione critica con traduzione delle lettere documentarie, c. 550-metà IV a.C. (42 lettere private su piombo, cocci o tavolette d'argilla organizzate in base alla provenienza - Mar Nero, Marsiglia, Sicilia, Calcidica, Atene - e cronologia; 5 testi dallo status epistolare incerto; 1 lettera ufficiale su piombo, unicum di età ellenistica o imperiale dal Bosforo Cimmerio). La seconda riporta i passi con traduzione delle principali tradizioni antiche sull'invenzione della scrittura. La terza è il catalogo ragionato delle epistole ufficiali di poleis o koina iscritte su pietra, in ordine cronologico, III-I a.C. (1-69: epistole; 70-74: decreti/epistole), seguìto dall'elenco delle epistole ufficiali di magistrati romani iscritte su pietra (R1-71). Una ricca ed esaustiva bibliografia, un index locorum e indici tematici completano questo volume dalla solida cura redazionale.

Poiché mancava una raccolta delle epistole private arcaiche e classiche, anche a causa del numero esiguo dei ritrovamenti di recente accresciuto dalle scoperte, la prima appendice, costruita con perizia epigrafica, è indispensabile. La terza appendice, comprensibile al colpo d'occhio grazie a stratagemmi editoriali che distinguono tipologia, mittenti, destinatari, date, è fondamentale per colmare l'assenza in dottrina di un catalogo aggiornato e di una discussione specifica (pp. 311-330) sul fenomeno delle lettere scritte dalle poleis. Che le cancellerie regie ellenistiche possano aver avuto come modello per la scrittura epistolare la tradizione di una città come Sparta, per la quale l'uso delle lettere è attestato già all'inizio del V secolo, è una ipotesi suggestiva che ridimensionerebbe il primato epistolare di Filippo II di Macedonia.

Se si escludono alcune eccezioni, il quadro sugli usi epistolari del mondo greco ricavato dalla omogenea testimonianza delle fonti registra una resistenza nella conduzione degli affari pubblici da parte delle poleis all'uso di uno strumento comunicativo personale come la lettera. L'autrice sottolinea come l'epistola, dopo la rituale intestazione con il χαίρειν che suggella il riconoscimento della distanza tra mittente e destinatario (p. 57), metta in relazione un 'io' e un 'tu' che rendono esclusivo lo scambio, lasciando, anche materialmente, fuori ogni intrusione esterna: il sigillo apposto sulle epistole è nel mondo greco uno strumento di chiusura prima ancora che di autenticazione (pp. 33-34). Quando si tratta di affari cittadini, l'uso di uno strumento così personale entra in contrasto con le modalità collettive di esercizio del potere. Significativo è che le poleis abbiano opposto resistenza all'uso di epistole, continuando ad emettere decreti, anche quando lo strumento epistolare diventò la prassi nelle relazioni diplomatiche con i sovrani ellenistici (p. 311). E se è condivisibile che scrivere una lettera significa per il re costringere il destinatario ad entrare in relazione col mittente sollecitandone la risposta (p. 310), non è parimenti da escludere che corrispondere attraverso le epistole, piuttosto che emanare ordinanze, possa permettere al sovrano di plasmare il rapporto di potere secondo uno schema di scambio che ben si addice al linguaggio evergetico ed eufemistico sul quale è improntata la relazione tra re e città in età ellenistica.

Unendo in un ordine coerente e armonioso l'approfondita analisi delle fonti letterarie ed epigrafiche sull'origine della scrittura e sugli inizi dell'epistolografia greca, l'autrice ha sapientemente interrogato un'abbondante messe di documenti mai prima d'ora accostati gli uni agli altri per trasformare il suono senza voce dei testi antichi in una eloquente testimonianza sul funzionamento delle epistole nel sistema della comunicazione greca.

Alice Bencivenni