Kai Brodersen (ed.): Solinus. New Studies, Heidelberg: Verlag Antike 2014, 224 S., ISBN 978-3-938032-86-2, EUR 39,90
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Il volume raccoglie 11 studi e una Appendice, curata da Kai Brodersen, che da tempo si occupa, con risultati importanti, delle tematiche legate ai Collectanea.
La necessità di "nuovi" studi su Solino emerge in effetti dalla storia dell'opera di questo erudito su cui è pesata, in maniera inesorabile, la condanna di Mommsen (1895), di Weymann (1896), di Diehle (1919), di Stahl (1962) e di altri: il contenuto poco originale dei Collectanea e il brutto stile hanno contribuito alla cattiva fama di un autore che Brodersen ha ripreso in esame al fine di verificare la fondatezza di una critica che, in maniera pressoché automatica, ha attraversato più generazioni. Il volume costituisce una sorta di completamento del colloquio tenutosi a Gotha nel 2013: molti dei contributi qui raccolti erano stati, infatti, oggetto di relazioni a quel convegno, organizzato dallo stesso Brodersen.
L'indagine sulla qualità dell'opera di Solino parte da un elemento oggettivo: la popolarità dei Collectanea nel medioevo e nel rinascimento con una quantità di manoscritti e di edizioni che rendono ragione della fama del polyhistor nell'Europa occidentale. Questi manoscritti sono elencati dall'editore in Appendice a integrazione del catalogo di Mommsen, già ampliato da Mary Ella Milham (1922-2010). Allo stesso Brodersen si devono studi sugli aspetti geografici dei Collectanea, di cui è analizzata l'organizzazione dello spazio, descritto non più in maniera lineare, come richiesto dai peripli, ma per aree, forse in relazione alle prime carte (Brodersen 2011): una sintesi di questa organizzazione dello spazio si trova ancora in Appendice e costituisce un utile strumento per comprendere l'approccio innovativo di questi studi all'opera di Solino.
Il contributo di Zweder von Martels (Turning the Tables on Solinus' Critics: the Unity of Contents and Form of the Polyhistor, 10-23) si concentra sulla fortuna del polyhistor nel XV secolo, quando Enea Silvio Piccolomini (diventato papa Pio II nel 1458) pose in rilievo, nei suoi studi sulla retorica quale strumento di formazione, le capacità di Solino: in una nota epistola del 1444 indirizzata a Prokop von Rabenstein, Piccolomini presenta il trono della dea Fortuna tempestato di pietre, con chiaro riferimento a Solino, la cui descrizione delle pietre è fortemente sintetizzata in forma creativa e tale da rendere comunque chiaro il debito dell'umanista nei confronti dell'antico scrittore, ammirato per la piena padronanza della tecnica retorica e per indubbia originalità: il carattere innovativo (numerosi i neologismi), soprattutto in relazione alle descrizioni di Plinio e di Mela, già posto in rilievo da Brodersen e correlato alla comparsa di carte geografiche, fa concludere l'Autore per una datazione dell'opera alla fine del III secolo d.C., a sostegno dell'ipotesi già formulata da Brodersen (2011).
Barbara Pavlock (Paradox and the Journey in the Dedicatory Preface of Solinus' Collectanea, 24-31) analizza la lettera dedicatoria che apre i Collectanea e in particolare la metafora che considera l'opera letteraria come un viaggio: trattandosi di una chorographia, la metafora diventa particolarmente suggestiva e indicativa di una possibile influenza pliniana, comunque rielaborata in chiave personale con il ricorso a un'altra metafora espressa dalla frase vestigia monetae veteris persecuti. Gli illustri percedenti (Giovenale, Vigilio, Orazio) della metafora erano già stati colti da Fernández Nieto (2001) e intesi nel senso di un esplicito apprezzamento per le opere letterarie più antiche. Il riferimento, infine, all'origine di Roma alla fine della Praefatio è valutato per la sua originalità nel confronto tra la testa, con la quale l'artista inizia a delineare il corpo umano, e la città di Roma, punto di partenza dell'opera letteraria-viaggio. L'origine di Roma, di evidente importanza storica nella tradizione antica, costituisce dunque nell'impianto dei Collectanea una sorta di introduzione a un viaggio che non esclude il paradosso nelle sue diverse forme.
Il problema delle fonti e delle citazioni all'interno dell'opera di Solino costituisce il tema del contributo di Arwen Apps (Source Citation and Authority in Solinus, 32-42), che si concentra nel rapporto tra il polyhistor e l'autore cui questi attingeva: si tratta di un elemento essenziale, visto che l'informazione di Solino è esclusivamente letteraria e che l'autopsia non fa parte di un metodo prettamente compilativo. L'autorità delle fonti diventa, sotto questo aspetto, qualitativamente essenziale per l'Autore che dichiara di essersi servito scriptoribus receptissimis senza che venga posta dunque in discussione la verità di quanto riportato. Il problema che emerge in maniera cospicua dall'analisi delle citazioni soliniane è di ordine metodologico e investe la modalità con cui la fonte, consultata di prima o di seconda mano, viene mezionata nei Collectanea. Il moderno concetto di plagio, legato a citazioni che non riportano il nome dell'autore da cui deriva la notizia, si trova alluso proprio nella Prefazione dalla Naturalis historia di Plinio, alla quale Solino ha attinto abbondantemente ma né Solino né lo stesso Plinio riportano ogni volta fedelmente l'A. dal quale hanno attinto. Il fatto dimostra per Apps che Solino aveva utilizzato molteplici fonti la cui auctoritas era garantita da altri, receptissimi scriptores: "a modern analogy might be that of a student writing an essay with the aid of a history textbook, and footnoting the primary sources quoted rather the authors of the textbook itself" (41).
Va detto tuttavia che in questa modalità o metodo di lavoro risulta difficile individuare una linea coerente ed è probabilmente questa difficoltà che ha contribuito alla denigrazione dell'opera di Solino, oscillante nell'approccio ma soprattutto nella resa delle fonti utilizzate.
Il lungo e analitico contributo di Tom Hillard (Prosopographia shared by Plinius and Solinus: The question of Solinus' Source(s), 43-74) si concentra in particolare sul rapporto Solino / Plinio relativamente a notizie di ordine prosopografico: l'esempio della consacrazione a Roma di una statua di Venere con gli eventi collegati e l'identificazione di Sulpicia come la più virtuosa delle matrone offre spunto, nel confronto del testo di Solino (1.26) con Valerio Massimo 8.15.12 e Plinio NH 7.35.120, a riflessioni sull'indipendenza di Solino da Plinio. Numerosi sono i casi portati a conferma di analogie che non si risolvono in una mera dipendenza perché diversi sono i particolari della versione di Solino rispetto a quella di Plinio: lo stesso Mommsen (1895), che ne aveva piena consapevolezza, pensava a una dipendenza di Solino da una Chorographia pliniana, scritta da un homo non indiligens, mentre Gaetano Mario Columba (1896) pensava dapprima a una Corografia varro-sallustiana, alla base tanto di Plino e Mela quanto di Solino, e poi (1935) a un intermediario tra la fonte più antica e Plinio, utilizzata anche da Solino (v. schema a 60). Contro l'ipotesi di una fonte intermedia o di un anonimo compilatore, Hillard avanza l'ipotesi che l'intermediario non sia altro che "Solinus'preparatory note-taking" (67) e che l'informazione relativa ad es. ai dati prosopografici dipenda da una fonte comune disponibile a Plinio come all'autore dei Collectanea. Il ricorso alla pratica di prendere appunti è testimoniato, d'altronde, dallo stesso Plinio (NH Praef. 17) e apre uno spiraglio su un metodo di lavoro che implica il ricorso a fonti precedenti Plinio e che probabilmente sono molteplici.
L'indagine di Hillard si concentra qui sul passo (53.29) dedicato agli ornamenti di Lollia Paulina, moglie di Caligola. Il confronto con Plinio (NH 9.117-118), che diceva di aver visto di persona quanto descritto, fa propendere per una indipendenza del testo soliniano da quello del naturalista e per una dipendenza delle notizie dei Collectanea da una tradizione letteraria della quale Solino avrebbe preso nota.
Ora, l'ipotesi di una indipendenza da Plinio a me pare possa essere suffragata anche da altri es. di cui uno di natura propriamente geografica che qui segnalo. Solino così descrive l'isola di Taprobane (53. 1-2): Taprobanem insulam, antequam temeritas humana exquisito penitus mari fidem panderet, diu orbem alterum putaverunt et quidem quem habitare Antichthones crederentur. verum Alexandri Magni virtus ignorantiam publici erroris non tulit ulterius permanere, sed in haec usque secreta propagavit nominis sui gloriam. missus igitur Onesicritus praefectus classis Macedonicae terram istam, quanta esset, quid gigneret, quomodo haberetur, exquisitam notitiae nostrae dedit.
Plinio (NH 6. 81 = Onesicr. FGrHist 134 F 13) aveva detto: Taprobanen alterum orbem terrarum esse diu existimatum est Antichthonum appellatione. ut insulam esse liqueret Alexandri Magni aetas resque praestitere. Onesicritus classis eius praefectus elephantos ibi maiores bellicosioresque quam in India gigni scripsit.
E' chiaro che, pur rifacendosi entrambe le fonti a Onesicrito, la descrizione di Solino contiene riferimenti alla grandezza dell'isola della quale si trova riscontro in Strabone (15.1.15 C691) e che risalivano all'esploratore di Alessandro, i cui dati erano stati accolti da Eratostene. [1] E' verosimile dunque che in Solino confluisca una tradizione che, attraverso Eratostene e Strabone, aveva arricchito il dossier sull'isola, considerata un altro mondo fino all'età di Alessandro. Il fatto che i Collectanea procedessero mediante una scansione dello spazio, sintetizzata da Brodersen (196-200) nella quale a Taprobane era dedicata un'intera sezione dell'area oceanica sud-orientale, permette, in sostanza, di ipotizzare il ricorso a un dossier specifico sull'isola che, oltre ai dati presenti in Plinio, poteva comprendere quelli provenienti da una tradizione diversa.
Sull'aspetto storico-geografico è concentrato il contributo di Frank E. Romer (Reading the Myth(s) of Empire: Paradoxography and Geographic Writing in the Collectanea, 75-89) che, a partire dal ruolo di Roma caput mundi, centro dell'ecumene descritta nei Collectanea, valuta nella prospettiva dell'impero romano gli eventi storici e quelli mitici (v. ad es. i Parilia), funzionali alla costruzione di un "tempo e di uno spazio romano": il calendario giuliano che, nella descrizione di Solino (1.34 e 44-47), acquista importanza per la riorganizzazione dal punto di vista civile voluta da Augusto segna una svolta nell'acquisizione delle conoscenze scientifiche di Roma e connota i Collectanea di una prospettiva "scientifica" altrimenti distante dal taglio geografico letterario tipico dello scritto. Proprio sul fronte scientifico resta poi aperta la questione della presenza o meno di carte in testi scientifici e nei Collectanea in particolare. Va detto che, al di là delle riserve avanzate dall'Autore, l'esistenza di carte nella Geografia di Tolemeo è un dato assai verosimile, come è innegabile che una carta "dialogasse" con la Geografia di Eratostene: lo scienziato, che "correggeva" le antiche carte evidentemente lavorava su materiale presente nella grande Biblioteca di Alessandria e che comprendeva perciò testi e carte. Del resto quella che Romer chiama la "carta mentale" cui si rifaceva ad es. Plinio doveva essere la carta di Agrippa, più volte allusa nella Naturalis historia e evidentemente presente al lettore, almeno nelle sue coordinate di massima.
Il puntuale contributo di Francisco Javier Fernández Nieto (Incidentes de una corrección geográfica de Solino a Plinio: La isla de Cos, 90-95), al quale si deve un'importante edizione con traduzione spagnola dei Collectanea (2001), fornisce una convincente interpretazione del passo soliniano (7.16-20) nel quale sono citate le isole prospicenti l'Attica (Salamis, Sunium, Ceos, Cos): la dipendenza del passo da Plinio 4.62 è chiara ma, mentre Plinio attribuisce erroneamente a Ceo la produzione di preziosi tessuti per abiti femminili, Solino, che dichiara di attingere a Varrone, restituisce alla sola Cos questa attività. Il passo dimostra, da un lato, l'importanza di fonti alternative nei Collectanea e, dall'altro, la capacita di Solino di vagliare le informazioni e di restituire la versione ritenuta più attendibile, mediante il ricorso anche a tradizioni diverse.
Caroline Belanger (Solinus' Macrobians: A Roman Literary Account of the Axumite Empire, 96-118) formula l'ipotesi che la descrizione dei Makrobioi nei Collectanea si riferisca agli Axumiti, non citati direttamente da Solino ma identificabili con gli Etiopi con i quali l'impero romano aveva avuto molteplici e documentati contatti: questi Makrobioi, diversi da quelli citati da Erodoto, costituiscono un elemento originale, non trovandosi l'identificazione con gli Axumiti né in Plinio né in Mela. Solino (30.12) li localizza a oriente di Meroe, nell'area che arriva al Golfo Arabico, e li descrive in termini positivi, senza la connotazione negativa che la prospettiva romana utilizzava per i popoli lontandi dall'Urbe. Va detto, peraltro, che si tratta di una valutazione già presente nelle fonti greche le quali, pur utilizzando una prospettiva centrata sul Mediterraneo, attribuiscono - a partire da Omero - valore positivo ai popoli delle aree estreme, in particolare del Sud. Se davvero i Makrobioi di Solino sono da identificare con gli Axumiti, allora la versione di Solino sembra acquistare un suo particolare sapore anche per il tipo di informazione confluita nei Collectanea, nei quali l'antico mito degli Etiopi longevi troverebbe una personale chiave di lettura in una prospettiva storica.
Particolarmente misurate e convincenti risultano le conclusioni di David Paniagua (Iisdem fere verbis Solini saepe sunt sententias mutuati: Solinus and late Antique Christian literature from Ambrose to Augustine - An old assumption re-examined, 119-140) sul ricorso a Solino da parte di Ambrogio e di Gerolamo: nonostante infatti alcune sintonie che paiono non spiegabili attraverso la mediazione di Plinio, un documentato ricorso ai Collectanea da parte dei due scrittori cristiani non pare dimostrabile. E' invece Agostino il primo scrittore cristiano che sembra aver utilizzato l'ampio repertorio di mirabilia dello scrittore pagano in funzione delle proprie argomentazioni dirette ai non cristiani. Il ricorso a Solino da parte di Agostino è puntualmente studiato da Karin Schlapbach (Solinus' Collectanea rerum memorabilium and Augustine's curiosa historia, 140-156), che analizza il concetto di curiosa historia nel De civiatate dei (libri 16 e 21) al fine di dimostrare la fallacità delle informazioni riportate dagli scrittori pagani.
Félix Racine (Teaching with Solinus: Martianus and Priscian, 157-170) tenta di individuare le ragioni di un uso diretto di Solino da parte di Marziano Capella e di Prisciano: Capella risulta aver ricavato dai Collectanea essenzialmente le notizie sull'Oriente, per le quali l'informazione di Solino risultava più ampia e forse più soddisfacente. Rispetto infatti alla teoria di chi pensava che Capella avesse utilizzato un'epitome di Solino o un'epitome che sintetizzava sia il testo di Plinio che quello di Solino, Racine ipotizza che Capella avesse privilegiato il testo di Solino rispetto a quello di Plinio. L'ipotesi risulta sostenibile se, come già evidenziato ad es. per Taprobane, la versione di Solino era in parte diversa dalla pliniana e rivelava, in questo modo, l'utilizzazione di fonti differenti proprio per l'area orientale. E' questa ampiezza di informazioni che può spiegare anche il ricorso a Solino da parte di Prisciano che, sia nella sua traduzione della Periegesi di Dionigi di Alessandria che nelle Istitutiones grammaticae, attinge ai Collectanea, fonte utilizzata specialmente per le aree orientali e per le notizie di storia naturale. Il mestiere di maestro, di Capella e di Prisciano, rende ragione del ricorso al testo di Solino che, secondo l'ipotesi di Brodersen, sostituì la descrizione lineare di Plinio con quella per aree e per regioni, destinata a entrare nella scuola insieme alle carte geografiche.
Conclude il volume lo studio di Paul Dover (How Heinrich Bullinger read his Solinus: Reading Ancient Geography in 16th-century Switzerland, 171-195) su Heinrich Bullinger e l'ultimo squarcio di fortuna dei Collectanea presso gli umanisti swizzeri che, nel XVI secolo, fecero di Zurigo una nuova Atene, nella quale l'interesse per la geografia e la filosofia guadagnarono a Solino edizioni e commenti: infatti Bullinger, Vadian, Gwalther e Camers contribuirono indubbiamente a una diffusione del testo dei Collectanea destinato peraltro a non resistere a lungo.
Da quanto fin qui sommariamente esposto risulta che quella del testo dei Collectanea è una storia densa di implicazioni di ordine storico-politico che il volume curato da Kai Brodersen mette in luce nella sua articolata complessità. Il lettore ricava da questa sintesi una nuova chiave interpretativa per un'opera che indubbiamente meritava di essere sottoposta a un'analisi approfondita e dalla quale sono in effetti emersi importanti risultati.
La ricca bibliografia che accompagna questi studi li rende un indispensabile punto di riferimento per la ricerca, certo destinata a ulteriori e proficui approfondimenti.
Nota:
[1] Serena Bianchetti: Taprobane nella tradizione cartografica antica, Sileno 2014, 1-20.
Serena Bianchetti