Boris Chrubasik: Kings and Usurpers in the Seleukid Empire. The Men who would be King (= Oxford Classical Monographs), Oxford: Oxford University Press 2016, XXIV + 308 S., 30 s/w-Abb., ISBN 978-0-19-878692-4, GBP 80,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Daniel Ogden: The Legend of Seleucus. Kingship, Narrative and Mythmaking in the Ancient World, Cambridge: Cambridge University Press 2017
Christophe Feyel / Laetitia Graslin-Thomé: Le projet politique d'Antiochos IV. (journées d'études franco-allemandes, Nancy 17 - 19 juin 2013), Paris: de Boccard 2014
Linda-Marie Günther / Sonja Plischke (Hgg.): Studien zum vorhellenistischen und hellenistischen Herrscherkult, Berlin: Verlag Antike 2011
Nel suo volume sui sovrani e gli usurpatori nel mondo seleucide Boris Chrubasik prende in esame un periodo ben circostanziato, dal 246 al 123/2 a. C., escludendo così gli ultimi decenni della dinastia, dove le numerose guerre fratricide lasciarono spazio a diversi tentativi centrifughi (anche da parte dell'elemento non greco-macedone), e su cui non è facile proporre un'analisi scientificamente valida, in quanto non adeguatamente supportata dalla documentazione, in primis letteraria. Parimenti esclusi sono anche episodi come quello di Hyspaosines di Caracene (nel 128/7-124) o altri di maggiore consistenza tra III e II secolo, a cominciare dalla nascita ed espansione dello Stato partico (su cui vd. comunque 37-44 e passim).
Giustamente Chrubasik si pone in rapporto dialogico con alcuni recenti, importanti studi, che, nel complesso, formano quella che egli definisce 'new Seleukid history'. Punto centrale della discussione è accertare la validità dell'immagine del sovrano seleucide inteso come 'the sick man of Asia', per usare un topos storiografico variamente applicato e rimesso in discussione da parte della scholarship negli ultimi anni. L'autore, ritenendo nel complesso ancora valido questo paradigma interpretativo, offre un'approfondita riflessione sullo Stato dei Seleucidi e sulla sua forza e capacità di controllo e gestione di un territorio assai vasto, rappresentate da un lato dall'apparato burocratico-amministrativo, dall'altro proprio dalla figura del sovrano e dalle sue effettive qualità 'carismatiche' (più volte nel corso del volume vi è una cauta apertura ad approcci di tipo sociologico).
Per far ciò Chrubasik unisce una descrizione della dinastia di tipo evenemenziale (proponendo quindi sostanzialmente una storia politica, e dunque lasciando in subordine altri aspetti comunque importanti, come quello economico) ad un'indagine di tipo trasversale, con qualche inevitabile ripetizione nell'esposizione.
Un primo importante capitolo è riservato al rapporto tra potere centrale e potere locale nell'impero seleucide (l'uso di impero da parte di Chrubasik riflette ormai una prassi consueta, sebbene sia un termine non del tutto preciso dal punto di vista politico-istituzionale), con un'utile rassegna di tutti i dinasti soggetti, a diverso titolo, ai successori di Seleuco I. Seguono due capitoli con una narrazione molto dettagliata della storia seleucide e dei tentativi di usurpazione rispettivamente nel III e nel II secolo. Gli ultimi due capitoli, decisamente più brevi, sono rivolti maggiormente alla sintesi, incentrati sul fenomeno dell'usurpazione tra i Seleucidi e sul ruolo dei re nell'impero seleucide (di questi, il quinto e finale capitolo ha un sottotitolo indicativo: "A Story of Usurpation, Monarchy, and Power").
Nel complesso Chrubasik offre un quadro e un'analisi sostanzialmente chiari, e per molti aspetti convincenti. Gli usurpatori non vengono visti in quanto tali, bensì come elementi di un dinamismo di forze, all'interno del regno. Un regno in cui quello che è stato definito il 'traveling king' (in particolare da P. Kosmin) [1] non riesce sempre a mantenere il controllo della situazione di una realtà complessa sotto tutti i punti di vista, il che determina una perdita della coesione e di un equilibrio, strutturale e non, considerato sempre fragile e precario.
Le conclusioni dunque sono sostanzialmente negative: sebbene i re seleucidi abbiano tentato di creare una precisa identità per il loro regno, la legittimazione del loro potere è spesso messa in discussione, il che giustifica l'insorgere di tentativi di usurpazione. Chrubasik arriva all'affermazione, quasi paradossale, che non vi era kingship nell'impero seleucide, ma solo dei re (234).
Uno degli aspetti più importanti del libro è costituito dall'attenzione rivolta alla rappresentazione del potere e alle capacità aggregative degli usurpatori, anche attraverso i canali usuali di propaganda (in particolare le monete). Giusta attenzione viene riservata al richiamo ad Alessandro Magno da parte di Alessandro Balas, che viene fatto rientrare a pieno titolo nella categoria degli usurpatori (Chrubasik rifiuta la filiazione di costui da Antioco IV).
Chrubasik nota come le dinamiche dell'usurpazione di Alessandro Balas e, successivamente, di Alessandro Zabinas siano sostanzialmente differenti da quelle di Diodoto Trifone (a cui è riservato notevole spazio, all'interno del libro). Riguardo a quest'ultimo spicca l'analisi di autokrator (157). Chrubasik propone un confronto con l'uso del termine da parte di Arsace I, sottolineando come sia Diodoto Trifone sia il dinasta partico volessero differenziarsi dai re seleucidi anche attraverso questa precisa scelta nella titolatura. L'accostamento è solo parzialmente valido, giacché autokrator va visto, per il primo, come un aggettivo accessorio di basileus, a rafforzare una regalità che trae origine solo dalla forza o potenza di colui che rivendica, per così dire, il suo essere un self-made man. Invece per Arsace occorre ritenere che il termine sia la resa in greco, magari in forma imprecisa, di un'idea di regalità che era (ancora) lontana dal seguire certi patterns greco-macedoni, come avvenne invece per i sovrani partici successivi. [2]
In un'indagine come quella di Chrubasik era inevitabile il confronto non solo e non tanto con Alessandro Magno, ma con i veri predecessori sul territorio, ovvero gli Achemenidi. Giustamente, a mio avviso, l'autore rimarca le differenze dello Stato seleucide (di cui si è accertata, come si è detto, la debolezza strutturale) rispetto all'impero persiano, sicché è arduo parlare semplicemente di continuità o eredità nell'organizzazione politico-amministrativa.
Sarei invece più prudente sull'effettiva possibilità di trovare tracce della storiografia seleucide dietro la tradizione storiografica superstite, nota spesso in modo frammentario (Polibio, Posidonio e altri autori), in cui vi è la rappresentazione (spesso a posteriori) dell'usurpatore visto in antitesi con l'immagine del buon re (ad es., 222-224, con attenzione rivolta soprattutto a Molone, Acheo, Diodoto Trifone, ma anche ad Ermia). Probabilmente la prospettiva interpretativa va invece rovesciata. è la storiografia ellenistica, o almeno la storiografia ellenistica predominante (quale si riflette anche in autori come Pompeo Trogo/Giustino), che è incapace di cogliere appieno tutte le dinamiche sociopolitiche e che interpreta il fenomeno degli usurpatori come uno degli aspetti della degenerazione delle dinastie ellenistiche, in ossequio ad un'idea di crisi del mondo ellenistico, nata già con gli epigoni.
Altro aspetto importante, e che forse avrebbe potuto trovare spazio ancor maggiore nel volume, è costituito dalla dialettica tra sovrano, usurpatori e le città, soprattutto quelle più rilevanti. A questo proposito Chrubasik ben sottolinea l'importanza di Seleucia sul Tigri, in rapporto ai tentativi centrifughi di Molone e Timarco (ma vd. anche le pagine dedicate ad Antiochia sull'Oronte, mentre maggiormente sullo sfondo è Seleucia di Pieria).
Corredano il volume quattro cartine geografiche e altrettante appendici, delle quali si segnala soprattutto l'ultima, incentrata su un aspetto talora in passato trascurato ("Usurpers and the Senate of Rome"); il rapporto degli usurpatori con Roma va inteso nel quadro più generale dei rapporti interstatali e dell'interesse del crescente imperium Romanum per una ingerenza nella zona, interesse risolto comunque in chiave personale.
Da ultimo, seguono una bibliografia, molto accurata, e due indici (uno generale e l'altro di fonti).
Nel complesso il libro è ben curato [3] e pressoché tutta la bibliografia viene utilmente messa a profitto (il che non avviene troppo spesso, ultimamente, in certa scholarship). Il lavoro di Chrubasik si affianca dunque a pieno titolo ad altre recenti monografie sui Seleucidi, contribuendo in modo sostanziale a rendere più chiaro un quadro peraltro ancora oscuro sotto molti aspetti.
Note:
[1] Paul J. Kosmin: The Land of the Elephant Kings. Space, Territory, and Ideology in the Seleucid Empire, Cambridge, MA / London 2014, 26, 160, 176.
[2] Oltre a Federicomaria Muccioli: Gli epiteti ufficiali dei re ellenistici. Stuttgart 2013, 419-421 (con la bibliografia ivi citata), cfr. Marek Jan Olbrycht: The Titulature of Arsaces I. King of Parthia. In: "Parthica", 15 (2013), 63-74.
[3] Poche le mende da segnalare: in particolare, 157, n. 120: "pilopatros ... philellenos" (al posto dei corretti philopator e philhellen).
Federicomaria Muccioli