Ivan Jordović / Uwe Walter (Hgg.): Feindbild und Vorbild. Die athenische Demokratie und ihre intellektuellen Gegner (= Historische Zeitschrift. Beihefte. Neue Folge; Beiheft 74), Berlin: De Gruyter 2018, 343 S., ISBN 978-3-11-060507-5, EUR 89,95
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Il volume curato da Ivan Jordović e Uwe Walter trova origine in un convegno tenuto all'Università di Bielefeld nel 2016 e raccoglie dieci contributi, cui va aggiunta l'ampia introduzione dei curatori. Il tema è molto originale: la domanda cui si cerca di rispondere è infatti in che misura gli avversari della democrazia abbiano tenuto conto dell'ideologia democratica nell'elaborare le loro critiche, in che misura insomma l'immagine del nemico (Feindbild) non sia stata anche un modello a cui ispirarsi (Vorbild). Il tema porta con sé molte questioni, come l'esistenza di un'ideologia democratica (che io credo ricostruibile, anche in assenza di testi teorici specifici: una dimostrazione in questo senso si trova già in D. Musti, Demokratia, Roma-Bari 1995) e il rovesciamento reciproco di concetti politici e slogan che si coglie con facilità nello scontro ideologico di fine V secolo (penso a parole d'ordine come patrios politeia e soteria).
La raccolta si apre con il saggio introduttivo di I. Jordović e U. Walter, Vom Feind lernen. Der Einfluss der demokratischen Ideologie auf das antidemokratische Denken im 5. und 4. Jahrhundert, 9-44. Obiettivo dei curatori è presentare il tema generale del volume, incentrato sull'influenza dell'ideologia democratica sul pensiero antidemocratico e sugli argomenti utilizzati dai critici della democrazia. Giustamente, gli autori sottolineano la forza del discorso democratico e la necessità dei suoi critici di confrontarsi con esso, vuoi per differenziarsene, vuoi per opporgli nuovi concetti, vuoi per appropriarsi di valori riconosciuti e rovesciarne il significato. Un'operazione che si colloca all'interno di una sostanziale accettazione della democrazia, soprattutto dopo il fallimento dei colpi di stato antidemocratici di fine V, e che si inquadra dunque in una prospettiva più riformista che rivoluzionaria. L'introduzione si chiude con un utile riassunto dei contributi, ricondotti al tema generale.
Seguono tre contributi di portata piuttosto ampia. Claudia Tiersch (Selbstbeschreibungen der Demokratie bei attischen Rednern, 45-72) studia la visione della democrazia negli oratori attici, partendo dal presupposto che la democrazia trova espressione soprattutto nell'ambito deliberativo, in assemblea e in tribunale. L'analisi, inevitabilmente un po' cursoria, mette in evidenza alcuni aspetti interessanti: la democrazia emerge come quadro che consente il rispetto della legge, la sicurezza personale, la tutela della proprietà, e come tale è sostanzialmente accettata, anche in autori come Isocrate (che pure la critica sistematicamente proponendo un progetto di riforma che intervenga sui limiti del sistema democratico ma è costretto, nel farlo, ad appropriarsi egli stesso del discorso democratico). Manca a mio avviso, talora, una adeguata contestualizzazione: per esempio, che "il protagonista di un discorso contro Eratostene" rivendichi la propria correttezza nei confronti della società democratica assume un sapore diverso se si precisa che questo protagonista è Lisia (12, 4 s.), il quale celebra qui il comportamento, in linea con le aspettative della polis, suo e della sua famiglia di meteci. Temi non distanti sono affrontati nel saggio di Marian Nebelin (Demokratisches Entscheiden und antidemokratische Ideologie im klassichen Athen, 109-152), dedicato al tema del processo decisionale in democrazia. Su questa questione si scontrano, da una parte, la convinzione democratica che le decisioni in comune siano migliori e il criterio di maggioranza assicuri deliberazioni più valide, dall'altra, il giudizio di incompetenza dato dagli antidemocratici sul demos (i temi sono entrambi presenti nel Tripolitico di Erodoto). Vengono considerate le posizioni di Pseudo-Senofonte, di Platone, dell'Aristotele dell'Athenaion politeia e della Politica, per concludere che anche i critici delle capacità decisionali del popolo non offrono alternative valide a quanto previsto nella prassi democratica e che alcuni anzi finiscono per ammettere la bontà del criterio di maggioranza. L'analisi delle fonti è precisa e pertinente e il contributo risulta molto utile. Thomas Blank (Innere Kritiker und welche Umwelt? Intellektuelle zwischen Dissidenz und Systemstabilisierung im Athen des 4. Jahrhunderts, 73-108) studia la comunicazione tra teorici della politica, politici pratici e collettività sul tema delle critiche interne ed esterne alla democrazia, per concludere che esse sono rivolte agli intellettuali, non all'opinione pubblica democratica. Anche da questo saggio emerge l'idea della sostanziale stabilità della democrazia di IV secolo, accettata anche dai dissidenti, i quali (è il caso di Isocrate, già ricordato) si presentano come democratici anche quando criticano il sistema. Molti i rilievi interessanti, anche se l'impianto del saggio, costruito sul 'modello' delle critiche interne ed esterne, determina talvolta qualche astrazione.
Un secondo gruppo di contributi è dedicato a singoli autori. Kurt Raaflaub (Die Erklärung eines Paradoxes. Pseudo-Xenophons Auseinandersetzung mit demokratischer Praxis und Ideologie, 153-181) presenta un'eccellente analisi dell'Athenaion politeia dello Pseudo-Senofonte, un testo che in anni recenti ha ricevuto particolare attenzione (C Bearzot, F. Landucci, L. Prandi, a cura di, L'Athenaion politeia rivisitata. Il punto su Pseudo-Senofonte, Milano 2011; Pseudo-Xénophon, Constitution des Athéniens. Texte établi, traduit et commenté par Dominique Lenfant, Paris 2017). L'autore dell'operetta è considerato un giovane aristocratico insoddisfatto della democrazia, che scrive a metà degli anni 20; della democrazia egli conosce bene gli aspetti principali sul piano ideologico e istituzionale; suo intento è dimostrare che il sistema democratico ha una solida logica interna, basata sull'utile del demos, che ne spiega la forza. Pseudo-Senofonte è così un testimone importante dell'ideologia democratica attraverso il suo rovesciamento: un esempio per tutti, la sostituzione al concetto inclusivo di demos ("tutto il popolo"), tipicamente democratico, con quello esclusivo, che identifica il demos con la classe popolare. Ivan Jordović (Platons Kritik des demokratischen Konzepts der Freiheit zu tun, was man will, 183-208) e Kai Trampedach (Götterkult und Göttervorstellung in Platons 'Nomoi', pp. 209-228) concentrano il loro interesse su Platone, uno dei più accesi critici della democrazia ateniese. Il primo studia il concetto di libertà come licenza di 'far ciù che si vuole': un rovesciamento del concetto democratico di libertà (che implica responsabilità e rispetto della legge) che nasce nel V secolo per denunciare il carattere tirannico del potere del popolo. Di questa licenza di 'far ciò che si vuole' Platone rivendica la natura tirannica e la potenza distruttiva, ma nel farlo rivela di conoscere molto bene l'ideologia democratica da cui prende le distanze. Il secondo studia invece il ruolo del culto nel progetto coloniale delle Leggi platoniche, sottolineando da una parte i precisi riferimenti alla prassi cultuale ateniese, dall'altra la diversa prospettiva, che intende ancorare all'assoluto la vita della città per assicurare giustizia e pace interna. S. Günther (K)ein lupenreiner Demokrat? Überlegungen zur Erziehung des 'guten Bürgers' in Xenophons Kyrupädie, 229-248) dedica il suo saggio a Senofonte, partendo dalla ridiscussione dei suoi orientamenti nei confronti della democrazia (una riflessione aperta da Marta Sordi nel 1950-51 sulla rivista Athenaeum), per concludere, sulla base della Ciropedia, che Senofonte recupera alcuni aspetti della democrazia di IV secolo e ne respinge altri, costruendo un modello originale di stato. Infine, Karen Piepenbrink (Demokratische Implikationen in der 'Politik' des Aristoteles, 249-268) studia la presenza di elementi democratici nella Politica di Aristotele, dalla stabilità della democrazia al concetto di cittadino partecipativo, dall'accettazione del criterio di maggioranza all'idea di dominio della legge. Convinto che un regime debba godere del sostegno della maggioranza, Aristotele è condotto ad accettare principi democratici. L'analisi dei singoli autori indubbiamente dà un contributo significativo al tema di base del volume: i critici della democrazia, anche i più aspri, mostrano di tenere ampiamente conto della realtà democratica, sul piano ideologico e pratico, nel costruire la loro critica e addirittura ne accolgono alcuni aspetti.
Il volume è completato da due interventi che gettano uno sguardo sul mondo moderno e contemporaneo. E. Flaig (Totalitäre Demokratie. Eine Spurenlese zum Verhältnis von Freiheit und Gesetz, 269-310) si occupa di pensatori come Talmon e Constant, che elaborarono l'idea di una democrazia totalitaria senza però avere esperienza di vere democrazie, quanto piuttosto di dittature rivoluzionarie che agivano in nome del popolo; considera inoltre il problema del rapporto tra libertà politica e libertà individuale attraverso Tocqueville e Hobbes. Riemerge qui la critica antica che parlava di democrazia come tirannide dei molti; non a caso, la problematica veniva proiettata nell'antichità anche da questi pensatori. Hans-Christof Kraus (Demokratiekritik und antidemokratisches Denken in Deutschland vor und nach dem Ersten Weltkrieg, 311-328) studia il pensiero antidemocratico in Germania a cavallo della prima guerra mondiale; anche in questo caso emerge l'idea di una possibile tirannide della maggioranza.
È stato scelto di non compilare una bibliografia finale. Corredano il volume gli indici dei nomi antichi e moderni, dei concetti e delle cose notevoli, dei passi citati.
Nel complesso, il libro presenta molti motivi di interesse, a partire dalla prospettiva di ricerca indubbiamente originale, e offre notevoli spunti di riflessione. Il lavoro svolto dai contributori consente di cogliere assai bene l'interazione fra ideologia e prassi democratica da una parte e critica alla democrazia dall'altra. Qualche astrattezza è dovuta talora all'ampio riferimento a 'modelli' teorici: i contributi migliori restano a mio avviso quelli che più si concentrano sull'analisi delle fonti. C'è infine un aspetto che devo ricordare con dispiacere: leggendo questo libro, si ha l'impressione che l'antichistica sia ormai coltivata solo in area anglosassone e che altre scuole europee, come quella francese e quella italiana, non producano pressoché nulla che sia degno di una citazione. Non ho voluto ricordare le numerose mancanze riscontrate su diversi temi (Pseudo-Senofonte, Lisia, l'amnistia del 403, Isocrate...), limitandomi a segnalare in apertura il caso della Demokratia di Musti. Dispiace riscontrare tanto disinteresse verso una tradizione di studi molto viva e qualificata: soprattutto perché, in ultima analisi, ciò non giova ai nostri studi.
Cinzia Bearzot