Rezension über:

Daniela Mondini / Carola Jäggi / Peter Cornelius Claussen (Hgg.): Die Kirchen der Stadt Rom im Mittelalter, 1050-1300. Band 4: M-O. SS. Marcellino e Pietro bis S. Omobono (= Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie; Bd. 23), Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2020, 744 S., 545 Abb., ISBN 978-3-515-12111-8, EUR 158,00
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Rezension von:
Valentino Pace
Rome Campus, Trinity College Hartford, CT
Redaktionelle Betreuung:
Rebecca Müller
Empfohlene Zitierweise:
Valentino Pace: Rezension von: Daniela Mondini / Carola Jäggi / Peter Cornelius Claussen (Hgg.): Die Kirchen der Stadt Rom im Mittelalter, 1050-1300. Band 4: M-O. SS. Marcellino e Pietro bis S. Omobono, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2020, in: sehepunkte 21 (2021), Nr. 10 [15.10.2021], URL: https://www.sehepunkte.de
/2021/10/35403.html


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Daniela Mondini / Carola Jäggi / Peter Cornelius Claussen (Hgg.): Die Kirchen der Stadt Rom im Mittelalter, 1050-1300

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Il presente volume nasce dalla costola di un progetto, il Corpus Cosmatorum, al cui primo volume (Magistri doctissimi romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters) del 1987, hanno fatto e faranno seguito i sei previsti sulle Kirchen der Stadt Rom im Mittelalter, 1050-1300.

Il nostro, che corrisponde al Corpus Cosmatorum II.4, è dedicato alle chiese dell'urbe registrate in ordine alfabetico dalla M alla O, escludendo per ragioni di spazio le tre chiese mariane dell'Aracoeli e di Trastevere, oltre alla basilica sull'Esquilino, che da sole costituiranno il nucleo del prossimo volume. Il volume è curato dalle due Ordinarie delle università della Svizzera Italiana e di Zurigo, Daniela Mondini e Carola Jäggi oltre che dall'ideatore del progetto, qui modestamente segnalato in terza posizione, anche se la sua è stata ed è la figura dominante, oltre che nell'ideazione, nell'articolazione e nella realizzazione dei volumi.

Le chiese in rassegna sono trentasette, diciotto delle quali sono state studiate da Claussen stesso, una, Santa Maria in Cosmedin, da Michael Schmitz (con parziale collaborazione di Claussen) - quasi un vero e proprio libro di ben 140 pp. - le altre da più giovani collaboratori (Almuth Klein, Giorgia Pollio, Alexander Racz, Angela Yorck von Wartenburg), fatta eccezione per le tre a cura di Darko Senekovic, già co-curatore del volume precedente, ed una dalla stessa Carola Jäggi.

Impossibile per una recensione di entrare nel dettaglio di tanto materiale, sempre organizzato secondo una precisa sequenza descrittiva che, ove possibile, è cadenzata sulle eventuali fasi cronologiche e al loro interno, sulle aree e le strutture, come, per esempio, gli apparati presbiteriali, i pavimenti, gli arredi liturgici, la collocazione delle reliquie, con una sintetica conclusione riepilogativa e con un esauriente, completo apparato bibliografico, composto dei manoscritti e dalle pubblicazioni edite, con particolare attenzione alle documentazioni grafiche e planimetriche. Non mancano nemmeno excursus su quanto una volta apparteneva alle singole chiese ed è oggi altrove. In linea con il progetto originario, cicli pittorici o comunque pitture sono solo saltuariamente ricordati, perlopiù senza approfondimenti, superflui per via dei volumi del Corpus sulla Pittura medievale romana curati da Serena Romano per i secoli qui rilevanti.

Non tutte le chiese sono giunte a noi o lo sono in veste completamente trasformata e di conseguenza ne è preziosa questa schedatura dandoci tangibile segno delle perdite, ancor più preziosa quando i sei libri saranno stati tutti pubblicati.

Per via della circoscrizione cronologica un tema ricorrente di discussione è quello della possibile inerenza delle scelte architettoniche, degli arredi, delle forme figurative con l'ideologia della Riforma. Di certo sono le cattedre papali a interpretarne più direttamente le esigenze. In situ e ancora ben visibile è, fra quelle della scansione alfabetica di questo volume, la cattedra di S. Maria in Cosmedin, la cui utilizzazione di protomi leonine si affianca, per consapevolezza estetica e ideologica del reimpiego dell'Antico, alla vicina vasca porfirea su cui è situato l'altare. Di reimpiego era anche la cattedra di S. Marco, la notizia della cui originaria appartenenza a una biga antica la dobbiamo ad Ennio Quirino Visconti. Frammentarie sono le testimonianze inserite nella ricostruzione di Baronio ai SS. Nereo e Achilleo. Perdute sono pure le cattedre papali di S. Maria in Domnica, del Pantheon, di S. Martino ai Monti, di S. Nicola in Carcere.

Fra gli arredi di "messinscena" della liturgia sono gli amboni "a doppia scala" che caratterizzano scenograficamente la scena del sacro: il modello di San Clemente divenne subito normativo, con il suo sorprendente aniconismo, mantenuto a S. Maria in Cosmedin. Qui, insieme con la cattedra, venne eseguito l'intero arredo di altare e della recinzione al tempo del "camerario" Alfano, morto nel 1123, il cui sepolcro è situato nel nartece. Una magnifica unità all'insieme, nella navata e all'interno della recinzione presbiteriale, la conferisce il pavimento, giustamente apprezzato "tra i meglio conservati e più belli di Roma"; nelle altre chiese di questo volume restano per lo più pochi miseri resti di quella splendida pavimentazione policroma che doveva dare non solo il tono estetico, ma anche valenza liturgica a questi ambienti sacri. Il rapporto delle chiese di frequente rinnovate tra fine XI e inizi XII e le età precedenti è cruciale per molte di esse, ma anche in questo caso S. Maria in Cosmedin è fra le più interessanti in merito: così per i pochi e preziosi frammenti pavimentali di opus sectile sulla navatella di sinistra nella chiesa carolingia (papa Adriano I: 772-795) e per qualche resto di affresco precedente al ciclo di XII secolo sull'alto delle pareti. Soprattutto problematico è il caso del portale maggiore d'accesso con la sua incorniciatura figurata. Come di consueto a Roma vi si utilizza un marmo romano di spoglio, rilavorato per ricavarne sia all'interno dell'architrave una Visione del Sacro, incentrata sulla Dextera Dei, quasi a imitazione di un arco absidale, sia pure all'interno degli stipiti dove viene svolta una sequenza di racemi 'abitati', con sfoggio di un bestiario di quadrupedi, volatili, pesciolini e altri animali. Il suo scultore vi si firmò orgogliosamente ("IOANNES DE VENETIA ME FECIT") nell'iscrizione sull'architrave, senza purtroppo curarsi della data di esecuzione che, lungo i secoli e ancora oggi, ad oltre un millennio di distanza, è "croce e delizia" degli storici dell'arte, che lo datano su vari decenni dell'XI secolo, pur senza escluderne di adiacenti, prima o dopo il volgere del secolo. Particolarmente significativo è il confronto già noto con l'altare reliquiario di S. Maria del Priorato, perché esso comporterebbe, se si accetta quanto ne scrive adesso nella scheda dello stesso volume Giorgia Pollio, un preciso nesso con Gregorio VII e dunque con la questione dell'arte "gregoriana". A dire il vero, per la sua modestissima qualità il portale non meriterebbe particolare menzione se non implicasse appunto e soprattutto il suo allineamento e la sua inclusione nel contesto (e nel significato) della figuratività sui portali d'ingresso alle chiese e quindi alle ragioni della Riforma. L'incrocio delle informazioni provviste da Schmitz per S. Maria in Cosmedin e da Pollio per S. Maria del Priorato costituiscono adesso un'ottima piattaforma per tornare a discuterne. Ancor più, perché proprio il tema della "Riforma" viene affrontato da Claussen stesso nel suo esemplare studio della chiesa di Santa Maria in Cappella, un edificio dalle travagliate vicende storiche che da almeno l'XI fino al XX secolo ha subito modifiche architettoniche. Al di là di alcuni isolati contributi di dettaglio e qualche menzione viene qui ad essa per la prima volta dedicato un saggio scientificamente inappuntabile, sia per le informazioni che lo corredano, sia per l'intelligenza e acribia delle osservazioni, sia infine per la completezza dell'attenzione a ogni suo dettaglio. Nella non facile vicenda architettonica si inseriscono due documentate consacrazioni del 1090 e del 1113. È alla prima delle quali che Claussen assegna la fase architettonica iniziale, modificata e ristretta per ragioni statiche nell'immediato seguito, segnato dalla seconda consacrazione. Ne è sigla il blocco d'altare con l'Agnus Dei, documento unico per la sua figuratività, sul quale Claussen esercita tutta la sua straordinaria capacità descrittiva e analitica per contestualizzarlo convincentemente alla Roma della "Riforma gregoriana" di fine XI secolo.

Molto altro ci sarebbe da dire e scrivere su questo libro, ma qui non ce n'è spazio. Concludo soltanto con la convinzione, che credo non solo mia, ma di tutti coloro che intersecano Roma nei loro studi, che il Corpus, di cui questo volume fa parte, resterà per tutti noi, alla pari del suo predecessore ideale - il Corpus di Richard Krautheimer - l'opera di essenziale riferimento per chiunque studi l'arte e la storia di Roma.

Valentino Pace