Rezension über:

Giorgio Chittolini: L'Italia delle civitates. Grandi e piccoli centri fra Medioevo e Rinascimento, Roma: Viella 2015, 260 S., ISBN 978-88-6728-385-9, EUR 24,00
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Rezension von:
Gianmarco Cossandi
Università Cattolica di Brescia
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Gianmarco Cossandi: Rezension von: Giorgio Chittolini: L'Italia delle civitates. Grandi e piccoli centri fra Medioevo e Rinascimento, Roma: Viella 2015, in: sehepunkte 16 (2016), Nr. 12 [15.12.2016], URL: https://www.sehepunkte.de
/2016/12/27894.html


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Giorgio Chittolini: L'Italia delle civitates

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Raccogliendo alcuni saggi già editi, il volume ripercorre un tema caro all'autore: la definizione delle peculiarità dei centri urbani medievali italiani, in particolare di quelli dell'Italia centrosettentrionale, rispetto a un concetto più generale di città e rispetto alle altre città d'Europa.

Già il nome stesso impiegato per indicare la città si presenta come un primo elemento distintivo, dato che il termine civitas rimane riservato, dal Medioevo al Rinascimento, alle sedi vescovili. Da qui l'evidente imbarazzo degli ambasciatori e viaggiatori italiani nell'utilizzare tale termine per i molti centri attraversati oltralpe che, seppure grandi e popolosi, non rispondevano al modello italiano, nonché la corrispettiva facilità con cui i visitatori stranieri definivano, in Italia, come città i tanti centri minori in cui essi riconoscevano caratteri urbani. Una differenza che, non limitandosi al solo piano terminologico, rinvia ovviamente a discrepanze più generali dell'urbanizzazione, della società e della politica, ovvero al diverso grado di autonomia nei confronti dei poteri superiori, alla diversa organizzazione sociale, alla diversa concezione della nobiltà e, soprattutto, al diverso rapporto con il territorio.

Peculiare è la stretta connessione della città italiana con il territorio circostante, al punto che il contado, oltre a essere inteso come parte integrante, costituisce un elemento importante dell'identità urbana e della sua immagine. Non a caso le rappresentazioni della città medievale, nelle fonti letterarie o nelle raffigurazioni dipinte, spesso riflettono e intendono trasmettere questa immagine. Ciò non significa che l'idea di città, di centro propriamente urbano, non si connotasse anche in Italia per caratteri propri e valori specifici che la distinguevano dal mondo delle campagne e la contrapponevano ad esso, come avveniva in altri paesi europei. Tuttavia, nell'osservazione dei centri urbani al di là delle Alpi, la mancanza di domini territoriali appariva come la constatazione di una debolezza, di una incapacità, o come segno di miopia.

Quella italiana non si configura, pertanto, come una "semplice" città quanto piuttosto come un organismo territoriale complesso: un vero e proprio "stato cittadino", elemento di base dell'organizzazione politica della società in epoca comunale, sotto la sovranità dell'impero. D'altra parte, quanto fosse forte questo modello di città-stato è piuttosto evidente quando, tra il XIV e il XV secolo, ad un sistema di stati cittadini si venne sostituendo un insieme di stati regionali. Questo processo non riuscì, infatti, a scardinare l'immagine di un'Italia costituita essenzialmente da un insieme di territori cittadini e non la trasformò in una somma di "territori statali", principeschi o repubblicani. Anzi, si avverte una decisa difficoltà a riconoscere una sorta di "legittimità" a questi nuovi organismi, in quanto essi comportavano l'annullamento dello stato cittadino all'interno di altre e diverse formazioni territoriali, prive di un loro principio di legittimazione. Tant'è vero che le aspirazioni di Firenze ad affermare il proprio dominio sulla Toscana o quelle di Milano a rivendicare una sua autorità sulle città lombarde, al tempo della Repubblica ambrosiana, vennero a scontrarsi con questo sistema italiano che sembra trovare la sua piena legittimità soltanto quanto risulta composto da un insieme di stati cittadini, liberi e autonomi. Del resto, nella prima metà del Cinquecento l'idea che dello stato di Milano avevano i contemporanei era ancora quella di una rete di città e contadi.

La difficoltà più evidente con cui si confrontarono i nuovi stati regionali fu, dunque, quella di riuscire a costruire un principio di legittimazione, una nuova identità, in cui le città e il territorio potessero riconoscersi. Per questo motivo, all'inizio del Quattrocento, Firenze elaborò il concetto di civitas potens, ovvero di città dominante sul territorio e sui centri urbani del territorio; mentre Milano chiese il riconoscimento dello status di "città imperiale", con le relative prerogative, rivendicando come proprie quelle città e quelle terre che erano appartenute ai Visconti e delle quali essa pretendeva di porsi come erede. Tramontava, almeno in parte, il concetto di civitas nel significato forte che aveva avuto tra XIII e XIV secolo e il discorso sulla civitas lasciava spazio alla riflessione sul principato e sulle prerogative che il princeps poteva rivendicare sul territorio. Eppure, quel concetto, unitamente alle prerogative di autogoverno e di controllo sul territorio che comportava, non perse mai del tutto la propria forza, ma, trasposto a rivendicare i diritti delle città suddite nei confronti di principi e dominanti, esso conobbe una vitalità e una ricchezza che si mantenne a lungo nella storia italiana dell'età moderna.

Ulteriore elemento connotante è che la civitas influenzò fortemente la vita cittadina anche sul piano ecclesiastico, al punto che si avverte come un'interdipendenza fra lo spazio civile e lo spazio religioso. La stretta simbiosi tra città e contado, l'organicità dei legami che facevano del contado una componente della città stessa, trova espressione anche nei rituali della "religione civica". In particolare, così come i valori civili permeano culti e devozioni urbane e influenzano la fisionomia stessa degli edifici sacri, così la popolazione del contado è sollecitata, come a confermare la sua condizione di soggezione civile, ad unirsi alla celebrazione del santo patrono della città.

Partendo, in sostanza, dalla definizione di civitas elaborata dai viaggiatori e dagli ambasciatori del primo Cinquecento, Chittolini analizza e illustra, con la consueta acribia e opportuni esempi, i modi con cui i centri urbani d'Oltralpe venivano designati, nonché l'identità territoriale e statale delle città dell'Italia centrosettentrionale, tra il XV e il XVI secolo, le questioni dell'organizzazione territoriale e della trasformazione della città in metropoli e, infine, gli aspetti religiosi collegati al riordino delle circoscrizioni ecclesiastiche.

Un volume nel complesso interessante che, pur non presentando sostanziali novità, nella complementarietà dei diversi saggi riesce a mettere in luce alcuni di quegli aspetti che rendono le città italiane un insieme di centri con un'identità propria e ben riconoscibile rispetto ad altre forme urbane europee. Aspetti che chiaramente rinviano a componenti più generali della società, di cui essi sono espressione, e giungono a connotare una peculiarità della vita italiana del Quattrocento, così come a farci comprendere le ragioni che hanno determinato la "lunga durata" della civitas fino ai primi secoli dell'età moderna.

Gianmarco Cossandi