Agostino Paravicini Bagliani: Il bestiario del papa, Torino: Giulio Einaudi Editore 2016, XVIII + 378 S., ISBN 978-88-06-22654-1, EUR 32,00
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E uscito da poco un libro di Agostino Paravicini Bagliani che si intitola Il bestiario del papa. Questo studio si inserisce perfettamente nella produzione di uno studioso che da sempre ha dedicato al papato e alla sua storia grande attenzione e una mole cospicua di studi, che costituiscono parte della tradizione storiografica più importante su questo tema. Il volume si apre - e si chiude - con la figura del pontefice Francesco, papa Bergoglio, che per primo ha scelto il nome del santo di Assisi, associato tradizionalmente all'amore per gli animali: un'associazione ben diversa dalle storie di draghi, cavalli e pavoni che accompagnano il papato del Medioevo e dell'età moderna, ma che dice qualcosa del bisogno di simboli che il pontefice in carica continua ad avere, e che papa Francesco riesce bene ad interpretare in termini attuali.
Questa storia di animali, di simboli e di dottrine è suddivisa per figure e all'interno di ogni capitolo si segue l'andamento cronologico per mostrare come ogni figura si evolva nel corso dei secoli, dall'antichità al Rinascimento. Aprono il volume la colomba, simbolo dello Spirito santo, e il drago, simbolo del male e allo stesso tempo della vittoria del papato su tutto ciò che è di origine infernale. Si procede con cavalli, asini e muli; elefanti, cammelli, pappagalli; pavoni, aquile, leoni e tori che animano la parte centrale e più corposa del volume, dove per ogni animale o gruppo di animali Paravicini svela l'origine della simbologia e il modo in cui è stata adattata ai diversi periodi storici, con uno stile di scrittura che riesce a tenere in equilibrio la ricchezza di fonti e riferimenti con la piacevolezza della lettura.
La terza parte del libro è quella più interessante per chi studia la rappresentazione del papato in forma polemica: qui infatti lo studioso mette a fuoco alcuni temi profetici che coinvolgono i papi tra Due e Trecento, presenti in due collezioni di profezie, Genus nequam, letteralmente 'stirpe indegna' e Ascende calve. Si tratta di due serie di vaticini in forma iconografica, accompagnati da un motto e da un breve testo di significato oscuro, nei quali però sono ben riconoscibili i pontefici, spesso indicati per nome. Niccolò III Orsini era considerato in quel periodo l'origine di tutti i mali, perché responsabile della diffusione endemica del nepotismo e della corruzione all'interno della curia; e così recitava del resto una delle versioni, il Principium malorum, scritto durante il conclave apertosi dopo la morte di Onorio IV: erano rielaborazioni in chiave messianico-polemica che attingevano agli antichi Oracula Leonis, di origine bizantina. Tutti vaticini che affiancavano il papato all'immagine dell'orsa che nutre i piccoli, così come il papa corrotto favoriva i suoi accoliti, ma non solo: in questi vaticini anche il drago aveva una grande importanza, e in maniera del tutto diversa dal drago sconfitto che si trova all'inizio del libro. I draghi in questo contesto significano la pericolosità della condotta dei papi e il loro accostamento alla bestia dell'Apocalisse. E se Celestino V esce da queste raffigurazioni in maniera positiva, come papa angelico, Bonifacio VIII viene raffigurato come una volpe, mentre cerca di soppiatto di togliere la tiara di Celestino: un'allusione per nulla velata all'accusa che i Colonna e i legisti di Filippo il Bello avevano fatto al Caetani, responsabile secondo costoro di aver indotto Celestino a rinunciare al soglio con l'inganno.
Figure animalesche che si trasformano e si arricchiscono nel Rinascimento e nel periodo della Riforma, in cui il papa-asino, Papstesel, creato nei circoli luterani, ebbe una grandissima diffusione, tanto da diventare la rappresentazione satirica per eccellenza del papato romano. Con l'asino facciamo ritorno indietro nel tempo e nel libro, fino al sesto capitolo, dove Paravicini racconta il rito della cornomannia: un rituale "di derisione e inversione del potere papale" che si trova menzionato per la prima volta da Giovanni Immonide (IX secolo) nella riscrittura metrica della Coena Cypriani, e poi dal canonico Benedetto nel Liber politicus composto tra il 1128 e il 1143: il sabato in albis, le persone si riuniscono nelle rispettive parrocchie della città di Roma e il sacrestano in abiti liturgici indossa una corona di fiori a forma di corna; poi ogni gruppo si reca in Laterano, dove si attende il papa e si danza in cerchio, mentre i sacrestani rivolgono il capo cornuto verso il terreno. Poi un arciprete sale a dorso di un asino - si specifica, preparato dalla curia - ma alla rovescia, mentre gli altri offrono animali (una volpe, un gallo e un daino) e ghirlande di fiori al papa. C'è anche una cesta con i denari che viene messa davanti al muso dell'asino e il sacrestano, che interpreta il buffone sgraziato, cerca maldestramente di prenderli. Una parodia dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, che arriva a dorso d'asino, con al centro gli animali, ognuno dei quali con un significato antico e complesso. Una parodia che invece di sminuire il potere papale lo rafforza, per inversione: sì perché è la curia stessa che gestisce la cerimonia e la affida alla comunità, dando l'illusione di essere oggetto di derisione e restando invece soggetto agente e amministratore di un potere grande come quello delle immagini.
Le conclusioni del libro spiegano il perché di alcune scelte nel contenuto e nella metodologia impiegata per organizzare un materiale così ampio come quello presentato da Paravicini e ritroviamo in chiusura papa Francesco e lo spettacolo 'Fiat Lux', con le immagini proiettate sulla basilica vaticana in apertura del Giubileo: ancora animali e natura, ma con un significato completamente diverso.
Lorenza Tromboni