Michael Krewet: Vernunft und Religion bei Herodot (= Studien zu Literatur und Erkenntnis; Bd. 8), Heidelberg: Universitätsverlag Winter 2017, 798 S., ISBN 978-3-8253-6332-1, EUR 66,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Philip A. Stadter: Plutarch and his Roman Readers, Oxford: Oxford University Press 2014
Thomas F. Scanlon: Greek Historiography, Hoboken, NJ: Wiley-Blackwell 2015
Johannes Brehm: Generationenbeziehungen in den Historien Herodots, Wiesbaden: Harrassowitz 2013
Susanne Froehlich: Handlungsmotive bei Herodot, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2013
Giovanni Parmeggiani (ed.): Between Thucydides and Polybius. The Golden Age of Greek Historiography, Cambridge, MA / London: Harvard University Press 2014
Nel suo ultimo libro, Michael Krewet si confronta con un tema che ha affascinato gli studiosi moderni e che ancora oggi è al centro di molte riflessioni: il rapporto tra causalità razionale e credenze religiose in Erodoto. Chiunque legga le Storie resta colpito dal modo in cui la spiegazione storica degli eventi coesiste con la costante presenza degli dèi che si manifestano spesso attraverso sogni e oracoli e influenzano l'agire degli uomini. Soltanto per fare qualche esempio, basti citare la storia del re lidio Creso, che cade perché deve scontare le colpe del suo antenato Gige, come preannunciato dall'oracolo delfico, ma anche per via del suo errore nell'interpretare i messaggi della Pizia (I, 91). Non meno spiazzante è la decisione di Serse di attaccare la Grecia, pesantemente influenzata dall'intervento divino, ma poi fortemente voluta dal sovrano persiano. Sono gli dèi a decidere le sorti degli uomini o sono invece questi ultimi a fare le scelte determinanti?
È questa la domanda a cui cerca di rispondere Krewet, in uno studio molto corposo, di quasi ottocento pagine (786). Dopo una dettagliata introduzione e un lungo approfondimento metodologico, lo studioso analizza sistematicamente le Storie in diciassette capitoli, per poi dedicare le ultime sezioni ad un confronto con alcune concezioni proposte dagli autori precedenti ad Erodoto. Secondo Krewet non sussiste alcuna contraddizione tra le diverse forme di causalità attestate nell'opera, perché sono gli uomini a decidere in modo indipendente le loro azioni. Gli dèi non determinano affatto le decisioni umane, ma intervengono attraverso sogni e profezie affinché gli uomini ponderino in modo assennato le loro scelte. Se ciò non avviene, questi uomini sono destinati alla rovina in base alle norme di giustizia con cui è stato plasmato il mondo. Gli dèi, in quanto esseri eterni e onniscienti, conoscono il futuro ma non lo determinano: il loro intervento asseconda il "carattere" degli individui e li mette alla prova, in modo da evidenziare le ragioni che li porteranno alla caduta. Le espressioni di necessità attestate nell'opera non indicano dunque un destino preordinato a cui gli uomini non possono sfuggire, ma l'inevitabile esito a cui determinate caratteristiche caratteriali portano. Non c'è dunque nell'opera alcuna forma di determinismo, ma saremmo di fronte ad una "Rationale Religion" (750), in cui gli uomini sono liberi di scegliere le loro sorti, rispettando l'ordine cosmico che è stato stabilito dagli dèi.
Secondo Krewet, dunque, sono personaggi come Creso e Serse a sbagliare perché non sono in grado di sfruttare l'opportunità che gli dèi danno loro, accennando ai rischi che li aspettano nelle loro imprese espansionistiche. Altri protagonisti dimostrano invece che è possibile ritrovare la retta via, se si interpretano in modo corretto i messaggi divini. Aristodico di Cuma, ad esempio, è abile a interrogare di nuovo l'oracolo a proposito della consegna dei supplici, e a evitare così che i suoi concittadini cadano in rovina, dopo aver posto al dio una domanda impropria (I, 159). Similmente, il re etiope Sabacone rinuncia al regno d'Egitto nel momento giusto, comprendendo che gli dèi lo stanno mettendo alla prova con una visione ingannevole (II, 139).
Quest'ultima interpretazione, per certi versi condivisibile, non tiene però conto di altri elementi attestati nell'opera. Si può davvero dare la responsabilità dell'errore soltanto ai personaggi erodotei, senza sottolineare l'estrema ambiguità dei messaggi divini? Sia Creso sia Serse (per citare i casi più celebri) si dimostrano dei conquistatori spietati, ma come non tener conto che sono proprio gli dèi a influenzare in modo decisivo le loro azioni? Non sembra proprio che gli dèi stiano dando agli uomini la possibilità di rinsavire, ma piuttosto Erodoto sottolinea il carattere ingannevole di certi responsi e sogni. Nel primo caso è il lessico a evidenziarlo, con l'utilizzo dell'aggettivo kibdelos a proposito dell'oracolo ricevuto da Creso (I, 75). Questo termine che indica già nei testi precedenti alle Storie una falsificazione fraudolenta dei metalli pregiati viene impiegato dall'autore tre volte, sempre a proposito di oracoli. [1] Oltre a quello già citato, va annoverato l'altro oracolo ambiguo che gli Spartani ricevono a proposito della conquista di Tegea (I, 66) e quello che induce gli stessi Lacedemoni a intervenire ad Atene per scacciare i tiranni (V, 91). Quest'ultimo è addirittura frutto dell'esplicita corruzione della Pizia, a sottolineare ancor di più il carattere negativo del termine. Non mi pare che nel caso di Creso gli dèi intervengano per farlo riflettere affinché agisca in modo assennato (293). Emerge piuttosto il carattere ambiguo del dio di Delfi, che accoglie le copiosissime offerte del re lidio ma non tutela pienamente il suo devoto.
Fa bene Krewet a marcare gli episodi di Aristodico e Sabacone, ma sarebbe stato importante evidenziare altresì la storia di Micerino, il faraone egizio che rompe con il modo empio di governare dei suoi predecessori e che proprio per questo viene accusato dall'oracolo di Buto di essersi accorciato l'esistenza: "[...] non aveva fatto ciò che bisognava fare. L'Egitto doveva restare in miseria per 150 anni [...]" (II, 133). [2] Anche in questo caso gli dèi stanno mettendo il faraone alla prova e questi dovrebbe ribellarsi al responso? Mi pare che si forzi in parte il testo erodoteo, applicando a tutta l'opera le concezioni attestate in due episodi che non occupano un posto di particolare rilievo all'interno della narrazione.
Lo studio di Krewet, che indubbiamente dimostra di conoscere approfonditamente le Storie e che ha il pregio di riportare al centro della ricerca la complessità della Weltanschauung erodotea, presenta a tratti un eccesso di schematizzazione. Si può davvero pensare ad una "risoluzione razionale" (597) di questa apparente contraddizione tra causalità razionale e sovrannaturale? Ma razionale per chi, per Erodoto o per noi moderni? Nelle Storie, così come nel contemporaneo teatro tragico, siamo di fronte ad una complessità causale che non deve necessariamente soddisfare il nostro bisogno di coerenza, come ha detto bene di recente Henk Versnel, riproponendo concezioni espresse in passato da altri validissimi studiosi. [3] Basti pensare a Max Pohlenz, secondo il quale Erodoto, come i Greci suoi contemporanei, non percepisce questo "entweder-oder", il conflitto tra motivazione naturale e motivazione metafisica che caratterizza la nostra epoca. [4] Concezioni riprese negli ultimi anni anche da Thomas Harrison e da John Gould, che sottolinea la "luxuriant multiplicity" che contraddistingue il pensiero dei Greci da Omero in poi. [5] Del resto quasi cent'anni prima già Eduard Meyer, altro gigante della Altertumswissenschaft, sussumeva sotto il concetto di empirismo entrambe le forme di spiegazione della realtà, contestualizzando il pensiero dello storico di Alicarnasso nella temperie culturale dell'epoca. [6]
Alla luce di questa breve analisi, lo studio di Krewet si rivela utile, perché oltre a presentare un'analisi dettagliata della causalità nelle Storie, sottolinea in modo adeguato l'importanza dell'analisi razionale erodotea, replicando a concezioni datate che sono attestate fin dalla celebre interpretazione proposta da Jacoby nella Pauly-Wissowa (1913). L'approccio adottato dallo studioso si rivela però, in parte, fin troppo analitico e il rischio concreto è di 'semplificare' in modo eccessivo una materia molto complessa.
Note:
[1] Giovanni Ingarao: Ingannevoli come monete false. Ι κίβδηλοι χρησμοί in Erodoto, in: Klio 98 (2016), H. 2, 436-464.
[2] A questo episodio viene dedicate soltanto la nota 813.
[3] Henk Versnel: Coping with the gods. Wayward Readings in Greek Theology, Leiden / Boston 2011, 190-201.
[4] Max Pohlenz: Herodot, der erste Geschichtsschreiber des Abendlandes, Leipzig 1937, 118.
[5] John Gould: Herodotus, London 1989, 70-71; Thomas Harrison: Divinity and History. The religion of Herodotus, Oxford 2002, 140-141.
[6] Eduard Meyer: Herodots Weltanschauung, in: Forschungen zur alten Geschichte II. Zur Geschichte des fünften Jahrhunderts v. Chr., Halle 1899, 252-268. Cfr. Giovanni Ingarao: Herodots Weltanschauung: 'l'empirismo erodoteo' di Eduard Meyer. Nota introduttiva e traduzione, in: Hormos 7 (2015), 72-95.
Giovanni Ingarao